Per capire, riflettere, non dimenticare ciò che successe a tanti ebrei, tra cui l’illustre scrittore italiano Primo Michele Levi, autore di racconti, memorie, poesie e romanzi, vincitore di ambitissimi premi letterari tra cui il Premio Strega e il Premio Campiello.
Partigiano antifascista, fu catturato il 13 dicembre 1943 dai nazifascisti in Valle d'Aosta e, giacché ebreo, deportato nel campo di concentramento di Auschwitz, in Polonia, nel febbraio dell'anno successivo.
"Questo non è un sanatorio. Questo è un Lager tedesco, si chiama Auschwitz, e non se ne esce che per il camino. Se ti piace è così; se non ti piace, non hai che da andare a toccare il filo elettrico."
Primo Levi
Primo Levi trascorse un anno nel tremendo lager di Auschwitz, dove le persone non avevano più nemmeno un nome, ma solo un numero marchiato nel braccio sinistro. Un luogo dove uomini, donne e persino bambini venivano avviati alla morte in nudi cortei macabramente accolti dal cemento delle camere a gas, macchiato di sangue e graffiato da unghie e mani selvaggiamente disperate e troppo lontano perché il mondo potesse ascoltare le loro urla finali.
Un anno orribilmente interminabile di degradazioni in cui l'autore
trovava la forza ogni mattina di radersi, solo per continuare a sentirsi un
essere umano e che raccontò, attraverso raccapriccianti scene di vita quotidiane,
nel suo romanzo d'esordio pubblicato nel 1947: "Se
questo è un uomo", per l'appunto, considerato un capolavoro della
letteratura mondiale neorealista.
" Per mia fortuna sono stato deportato ad Auschwitz dopo il 1944, e cioè dopo che il governo tedesco, data la crescente scarsità di manodopora, aveva stabilito di allungare la vita media dei prigionieri da eliminare, concedendo sensibili miglioramenti nel tenor di vita e sospendendo temporaneamente le uccisioni ad arbitrio dei singoli.Perciò questo mio libro in fatto di particolari atroci non aggiunge nulla a quanto ormai è noto ai lettori di tutto il mondo sull'inquietante argomento dei campi di distruzione. Esso non è stato scritto allo scopo di formulare nuovi capi di accusa; potrà piuttosto fornire documenti per uno studio pacato dell'animo umano."
( Tratto da "Se questo è un uomo" Primo Levi)
Primo Levi , già ateista convinto, dopo
il vissuto di Auschwitz rafforzò le sue convinzioni: "C'è
Auschwitz, dunque non può esserci Dio. Non trovo una soluzione al dilemma. La
cerco, ma non la trovo".
La speranza, il ritrovato piacere della libertà, la paura e l'entusiasmo
della rinascita fisica e morale rivivono invece nel suo secondo
romanzo "La tregua", scritto quattordici anni dopo,
dove narra ancora del dolore della prigionia, ma soprattutto della sofferta e
lunga odissea del suo rientro in patria attraversando
Polonia, Bielorussia, Ucraina, Romania, Ungheria, Germania e Austria.
La vita di Primo Levi si terminò l’11 aprile 1987 quando, senza conoscerne le dinamiche, fu trovato morto alla base della tromba delle scale di casa.Molti furono propensi a credere nella volontaria decisione di porre fine alla propria vita con un clamoroso atto finale, altri invece che la caduta potesse essere stata provocata dalle vertigini di cui lo scrittore soffriva. Le spoglie dello scrittore riposano presso il campo israelitico del cimitero monumentale di Torino e sulla sua tomba ha voluto che fosse inciso, oltre al suo nome, il numero 174517, il numero che lo identificava nel lager.
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