Per insegnare a essere previdenti
non c'è storia più efficace della cicala e la formica.
Chi però non ha provato pena per la
sorte della scanzonata cicala che paga cara la sua imprudenza?
Certo in molti avranno parteggiato
per lei e tacciato di taccagneria la formica... però con un’obiettiva
riflessione ammettiamo che se tutti facessimo come la cicala, ci sarebbe poco
da scialare per tutti durante l'inverno!
L'ideale sarebbe un giusto
equilibrio tra le due parti: si dovrebbe accumulare quel tanto che basta a
trascorrere senza disagi l'inverno e senza doversi affidare
alla carità altrui, ma anche senza troppa ingordigia, trovando anche il
tempo per coltivare quegli interessi che rendono più piacevole la vita.
Ricordiamo che l'avidità fa
diventare aridi e di conseguenza infelici!
E l'infelicità spesso rende
cattivi...
LA CICALA E LA FORMICA
In una calda estate, un’allegra cicala cantava sul ramo di un albero, mentre sotto di lei una lunga fila di formiche faticava per trasportare chicchi di grano.Fra una pausa e l’altra del canto, la cicala si rivolge alle formiche: “Ma perché lavorate tanto, venite qui all’ombra a ripararvi dal sole, potremo cantare insieme!”
Ma le formiche, instancabili, senza fermarsi continuavano il loro lavoro..
“Non possiamo! Dobbiamo preparare le provviste per l’inverno! Quando verrà il freddo e la neve coprirà la terra, non troveremo più niente da mangiare e solo se avremo le dispense piene potremo sopravvivere!”
“L’estate è ancora lunga e c’è tempo per fare provviste prima che arrivi l’inverno!
Io preferisco cantare! Con questo sole e questo caldo è impossibile lavorare!”
Per tutta l’estate la cicala continuò a cantare e le formiche a lavorare.
Ma i giorni passavano veloci, poi le settimane e i mesi. Arrivò l’autunno e gli alberi cominciarono a perdere le foglie e la cicala scese dall’albero ormai spoglio. Anche l’erba diventava sempre più gialla e rada. Una mattina la cicala si svegliò tutta infreddolita, mentre i campi erano coperti dalla prima brina.
Il gelo bruciò il verde delle ultime foglie: era arrivato l’inverno.
La cicala cominciò a vagare cibandosi di qualche gambo rinsecchito che spuntava ancora dal terreno duro e gelato.
Venne la neve e la cicala non trovò più niente da mangiare: affamata e tremante di freddo, pensava con rimpianto al caldo e ai canti dell’estate.
Una sera vide una lucina lontana e si avvicinò affondando nella neve: “Aprite! Aprite, per favore! Sto morendo di fame! Datemi qualcosa da mangiare!”
La finestra si aprì e la formica si affacciò: “Chi è? Chi è che bussa?”
“Sono io, la cicala! Ho fame, freddo e sono senza casa!”
“La cicala?! Ah! Mi ricordo di te! Cosa hai fatto durante l’estate, mentre noi faticavamo per prepararci all’inverno?”
“Io? Cantavo e riempivo del mio canto cielo e terra!”
“Hai cantato?” replicò la formica, “Adesso balla!”
La formica richiuse la porta e tornò al calduccio della sua casetta, mentre la cicala, con il cappello ed il violino coperti di neve, si allontanava, ad ali basse, nella campagna.
Esopo
( 620 a.C. circa – 560 a.C. circa)
ALLA FORMICA
Chiedo scusa alla favola antica
se non mi piace l’avara formica.
Io sto dalla parte della cicala
che il più bel canto non vende, regala.
(Gianni Rodari)
La favola fu secoli dopo adattata anche da Jean da La Fontaine, altro autore di celebri favole contenenti allegorie morali contro ogni tipo prepotenza e ingiustizia...
LA CICALA E LA FORMICA
La Cicala che imprudente
tutto estate al sol cantò,
provveduta di niente
nell'inverno si trovò,
senza più un granello
e senza una mosca in la credenza.
Affamata e piagnolosa
va a cercar della Formica
e le chiede qualche cosa,
qualche cosa in cortesia,
per poter fino alla prossima
primavera tirar via:
promettendo per l'agosto,
in coscienza d'animale,
interessi e capitale.
La Formica che ha il difetto
di prestar malvolentieri,
le dimanda chiaro e netto:
- Che hai tu fatto fino a ieri?
- Cara amica, a dire il giusto
non ho fatto che cantare
tutto il tempo.
- Brava ho gusto;
balla adesso, se ti pare.
Jean De La Fontaine
(Château-Thierry, 8 luglio 1621 – Parigi, 13 aprile 1695)
Completamente diversa la morale nella versione di Trilussa ...
LA CICALA E LA FORMICA
Una Cicala che pijava er fresco
All'ombra der grispigno e de l'ortica
Pe' dà' la cojonella a 'na Formica
Canto 'sto ritornello romanesco:
-Fiore de pane,
lo me la godo, canto e sto benone,
E invece tu fatichi come un cane.
Eh! da quì ar bervedè' ce corre poco:
- Rispose la Formica-
Non t'hai da crede' mica
Ch'er sole scotti sempre come er foco!
Ammomenti verrà la tramontana:
Commare, stacce attenta...
Quanno venne l'inverno
La Formica se chiuse ne la tana,
Ma ner sentì' che la Cecala amica
Seguitava a cantà' tutta contenta,
Uscì fora e je disse: -Ancora canti?
Ancora nu' la pianti?
Io? - fece la Cecala - manco a dillo,
Quer che facevo prima faccio adesso:
Mò ciò l'amante: me mantiè quer grillo
Che 'sto giugno me stava sempre appresso
Che dichi ? l'onestà ? Quanto sei cicia!
M'aricordo mi nonna che diceva:
Chi lavora cià appena una camicia,
E sai chi ce n'ha due.? Chi se la leva.
(Trilussa)
Carlo Alberto Salustri, più conosciuto con lo pseudonimo di Trilussa
- anagramma del cognome -
(Roma, 26 ottobre 1871 – Roma, 21 dicembre 1950)
E concludiamo rivoluzionando la storia!
RIVOLUZIONE
Ho visto una formica
in un giorno freddo e triste
donare alla cicala
metà delle sue provviste.
Tutto cambia: le nuvole,
le favole, le persone.
La formica si fa generosa:
E’ una rivoluzione!
Gianni Rodari
(Omegna, 23 ottobre 1920 – Roma, 14 aprile 1980)