31 gennaio 2019

SAN GIOVANNI BOSCO - 31 gennaio




Giovanni Melchiorre Bosco, meglio noto come don Bosco, santo protettore di educatori, giovani, editori, scolari e studenti, nacque il 16 agosto 1815 a Castelnuovo d’ Asti, paese poi rinominato Castelnuovo Don Bosco in suo onore.
Il 31 gennaio, giorno della sua morte, è quello scelto dalla Chiesa per commemorarlo. 
Figlio di una pia coppia di contadini, a due anni Giovanni perse il padre Francesco a causa di una polmonite.
La vedova Margherita Occhiena rimase con due figli da accudire, Giuseppe e Giovanni, oltre al figliastro Antonio, che Francesco aveva avuto dalla precedente moglie, e alla suocera anziana e inferma.
Furono anni molto difficili e la famiglia Bosco crebbe conoscendo la fame e la miseria.
 Col fratellastro Antonio i rapporti furono sempre conflittuali tanto che, nel 1826, Giovanni dovette andarsene da casa e procurarsi il pane lavorando come garzone.
Giovanni prese la decisione di farsi prete dopo un sogno profetico che mai si stancava di raccontare ai suoi protetti in oratorio:


«A nove anni ho fatto un sogno. Mi pareva di essere vicino a casa, in un cortile molto vasto, dove si divertiva una gran quantità di ragazzi. Alcuni ridevano, altri giocavano, non pochi bestemmiavano. Al sentire le bestemmie mi slanciai in mezzo a loro. Cercai di farli tacere usando pugni e parole.
In quel momento apparve un uomo maestoso, vestito nobilmente. Un manto bianco gli copriva tutta la persona. La sua faccia era così luminosa che non riuscivo a fissarla. Egli mi chiamò per nome e mi ordinò di mettermi a capo di quei ragazzi. Aggiunse: «Dovrai farteli amici non con le percosse, ma con la mansuetudine e la carità. Su, parla, spiegagli che il peccato è una cosa cattiva e che l'amicizia con il Signore è un bene prezioso». Confuso e spaventato risposi che io ero un ragazzo povero e ignorante, che non ero capace di parlare di religione a quei monelli.
In quel momento i ragazzi cessarono le risse, gli schiamazzi e le bestemmie e si raccolsero tutti intorno a colui che parlava. Quasi senza sapere cosa facessi gli domandai: «Chi siete voi, che mi comandate cose impossibili?» «Proprio perché queste cose ti sembrano impossibili – rispose – dovrai renderle possibili con l'obbedienza e acquistando la scienza». «Come potrò acquistare la scienza?». «Io ti darò la maestra. Sotto la sua guida si diventa sapienti, ma senza di lei anche chi è sapiente diventa un povero ignorante». «Ma chi siete voi?». «Io sono il figlio di colei che tua madre ti insegnò a salutare tre volte al giorno». «La mamma mi dice sempre di non stare con quelli che non conosco, senza il suo permesso. Perciò ditemi il vostro nome». «Il mio nome domandalo a mia madre».
In quel momento ho visto vicino a lui una donna maestosa, vestita di un manto che risplendeva da tutte le parti, come se in ogni punto ci fosse una stella luminosissima. Vedendomi sempre più confuso, mi fece cenno di andarle vicino, mi prese con bontà per mano e mi disse: «Guarda». Guardai e mi accorsi che quei ragazzi erano tutti scomparsi. Al loro posto c'era una moltitudine di capretti, cani, gatti, orsi e parecchi altri animali. La donna maestosa mi disse: «Ecco il tuo campo, ecco dove devi lavorare. Cresci umile, forte e robusto e ciò che adesso vedrai succedere a questi animali, tu lo dovrai fare per i miei figli». Guardai ancora ed ecco che al posto di animali feroci comparvero altrettanti agnelli mansueti che saltellavano, correvano, belavano, facevano festa attorno a quell'uomo e a quella signora. A quel punto nel sogno mi misi a piangere. Dissi a quella signora che non capivo tutte quelle cose. Allora mi pose una mano sul capo e mi disse: «A suo tempo, tutto comprenderai».
Aveva appena detto queste parole che un rumore mi svegliò. Ogni cosa era scomparsa. Io rimasi sbalordito. Mi sembrava di avere le mani che facevano male per i pugni che avevo dato, che la faccia mi bruciasse per gli schiaffi ricevuti. Al mattino ho subito raccontato il sogno, prima ai fratelli che si misero a ridere, poi alla mamma e alla nonna. Ognuno diede la sua interpretazione. Giuseppe disse: «Diventerai un pecoraio». Mia madre: «Chissà che non abbia a diventare prete». Antonio malignò: «Sarai un capo di briganti». L'ultima parola la disse la nonna, che non sapeva né leggere né scrivere: «Non bisogna credere ai sogni». Io ero del parere della nonna. Tuttavia, quel sogno non riuscii più a togliermelo dalla mente.»

(tratto da “Memorie”, Don Bosco)


Con molti sacrifici e privazioni, svolgendo ogni lavoro possibile, Giovanni riuscì a compiere gli studi ecclesiastici con l’aiuto del cappellano don Giovanni Calosso che prese a cuore la sua situazione.
Dotato di un’intelligenza e una memoria fuori dal comune, a vent’anni entra in seminario e nel 1841 finalmente diventa sacerdote e inizia il ministero a Torino.
Vista la sua vicenda personale, da subito sente di doversi prodigare per i tanti bambini e ragazzi poveri, spesso senza famiglia, che vagavano esposti a ogni tipo di pericolo per le vie della città.
Purtroppo, però era privo di mezzi, finché, pregando e pensando, la Vergine Maria gli ispira l'istituzione degli Oratori.
Dopo mille difficoltà e ostacoli, Don Bosco riuscì a comperare a Valdocco (appena fuori Torino) un pezzetto di terreno con una casa ed una tettoia a cui aggiunse una cappella: finalmente aveva un rifugio stabile e sicuro dove accogliere i suoi birbanti e garantire loro alloggio, affetto, istruzione e un’educazione cristiana che li facesse diventare “amici del Signore”.


Oltre a insegnare il Vangelo il Santo intratteneva i ragazzi con passatempi e acrobazie appresi in gioventù dai giullari del suo paese.
Don Bosco però vuole allargare il raggio d’azione e aiutare i giovani bisognosi in tutto il mondo.
 Nel 1854 fonda allo scopo la Pia Società di San Francesco di Sales, detta comunemente dei Salesiani, una congregazione composta di sacerdoti e laici.
La congregazione salesiana si occupa della formazione dei ragazzi per inserirli nel mondo del lavoro e a oggi conta oltre quattrocentomila congregazioni sparse in tutto il mondo.
Per le ragazze nelle stesse condizioni, nel 1872 Don Bosco fonda invece le Suore di Maria Ausiliatrice, le quali, come i Salesiani, sono sparse in tutto il mondo, ed affiancano l'opera dei sacerdoti.
Don Bosco morì a Torino il 31 gennaio 1888 per logoramento fisico, come testimonia la trascrizione di un dialogo fra Don Bosco e il medico curante: “Lei è un abito molto logoro. È stato indossato i giorni feriali e i giorni festivi. Per conservarlo ancora, l’unico mezzo è metterlo in guardaroba. Le consiglio il riposo assoluto”.  
La risposta del santo fu: “La ringrazio, dottore, ma è l’unica medicina che non posso prendere”.


San Giovanni Bosco -Jose Luis Castrillo, 2013

Fu papa Pio XI a proclamarlo santo nel 1934, ritenendo valide le testimonianze che attribuivano a Don Bosco due miracolose guarigioni.
La prima avvenne a Castel San Giovanni, in provincia di Piacenza, nel novembre 1918, quando la giovane Teresa Callegari, si ammalò di polmonite.
 Ricoverata in ospedale guarì dalla polmonite ma, durante la convalescenza, si ammalò di poliartrite infettiva al punto che non riusciva più neanche ad alimentarsi e i medici disperavano di salvarla.
Su consiglio di un'amica cominciò una novena a don Bosco.
Era il 16 luglio, ottavo giorno della novena, quando le sue condizioni si aggravano ulteriormente e i medici la davano per spacciata.
Teresa invece, alle 4 di mattina del 17 luglio, come raccontò in seguito, vide avanzare verso il suo letto d'ospedale don Bosco che le ordinava di alzarsi.
La ragazza scese dal letto senza più nessun malanno e gridando di gioia corse in mezzo alle altre malate incredule.
I medici non poterono che constatare e testimoniare la guarigione che, “istantanea, completa e definitiva”, appariva scientificamente inspiegabile.
Il processo di beatificazione di Don Bosco durò fino al 1929, anno in cui, il 19 marzo, finalmente la Chiesa si decise a dichiarare miracolosa questa guarigione.
 Parallelamente fu dichiarata miracolosa anche la guarigione di Provina Negro, una suora appartenente alla congregazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice, afflitta da una gravissima forma di ulcera allo stomaco e guarita per intercessione di don Bosco.


Papa Giovanni Paolo II nel 1988 definì Don Bosco “padre e maestro della gioventù”, mentre papa Francesco ha ricordato come Don Bosco “seppe far sentire l’abbraccio di Dio a tutti i giovani che incontrò”.
Una volta gli fu chiesto cosa fosse secondo lui la santità e San Giovanni Bosco, circondato dai suoi ragazzi rispose: “Per noi è soprattutto una grande allegria”.
Il corpo di Don Bosco è attualmente esposto all'interno di un'urna nel Santuario di Maria Ausiliatrice a Torino.

Dipinto raffigurante il "Sogno delle due colonne"  fatto da don Bosco sul futuro della Chiesa.
( basilica di Maria Ausiliatrice di Torino)

27 gennaio 2019

SOGNO INFINITO - Ferdinando



Buonanotte, che possiate fare bellissimi sogni!

SOGNO INFINITO

Voglio fuggire via con te
lontano da questo mondo materiale
dove non si sa mai cosa fare
dove non si sa mai cosa credere.
Voglio evadere queste regole perpetue ed oppressive.
Voglio percorrere strade senza fine,
boschi senza limiti, spazi infiniti.
Camminerò e volerò con te,
io e te soli con le nostre illusioni,
coi nostri pensieri, coi nostri amori.
Il tempo perderà i suoi valori
neutralizzando i nostri dolori.
Tutti gli Dei saranno invidiosi,
anche gli angeli vorranno seguirci
oramai stanchi del loro paradiso.
Ci scambieremo parole d'amore,
l'atmosfera si tingerà di ogni colore
ed anche i fiori impareranno a fare l'amore.
Ma anche se tutto questo è finto
sarà bellissimo questo sogno infinito.


Ferdinando 

LA NOTTE - Eliezer Wiesel




"Dietro di me sentii il solito uomo domandare:
- Dov'è dunque Dio?
E io sentivo in me una voce che gli rispondeva:
- Dov'è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca..."

(Eliezer Wiesel, La notte)

Eliezer Wiesel, detto Elie, è stato un noto scrittore, professore e attivista per i diritti umani, che con i suoi libri ci ha lasciato tra le più dolorose testimonianze sugli orrori vissuti nei campi di concentramento.
Nato il 30 settembre 1928 a Sighetu Marmației, in Romania, a causa delle sue origini ebree, nel 1944 fu deportato con tutta la famiglia.
Elie fu separato dalla madre Sarah e dalle sue sorelle Hilda, Beatrice e Zipporà.
La madre e la sorella Zipporà probabilmente morirono nelle camere a gas poco dopo il loro arrivo al campo.
 Elie riuscì invece a rimanere con il padre Shlomo per più di otto mesi, durante i quali entrambi furono costretti a lavorare in condizioni spaventose e a spostarsi in tre diversi campi di concentramento.
Il 29 gennaio 1945, solo poche settimane dopo il trasferimento a Buchenwald, il padre di Wiesel, già debilitato dalla dissenteria, la fame e la stanchezza, fu picchiato prima dai nazisti, poi anche da altri prigionieri per appropriarsi del suo cibo e morì solo poche settimane prima che il campo fosse liberato dall'esercito americano, l'11 aprile.
Dopo la guerra, Elie riuscì a riunirsi alle sorelle Beatrice e Hilda e dopo aver vissuto in un orfanotrofio francese, si trasferirono in America.
Per dieci anni dopo la fine della guerra, Wiesel si rifiutò di parlare o scrivere della propria esperienza durante l'Olocausto: così come molti sopravvissuti, non riusciva a trovare le parole adeguate a descrivere la devastante esperienza.
Fu lo scrittore francese François Mauriac, Premio Nobel per la letteratura del 1952, di cui divenne molto amico, a convincerlo a farlo.
Nel 1955, Wiesel si trasferì a New York dove scrisse più di 40 libri e vinse alcuni premi letterari.
La sua opera "La notte", è considerata tra le più importanti nella letteratura che tratta dell’Olocausto, accanto a "Se questo è un uomo" di Primo Levi e al "Diario di Anna Frank".
 Nel 1986 fu premiato con il premio Nobel per la pace, per aver consegnato all' umanità un potente esempio di pace, di espiazione e di dignità umana e il Comitato Norvegese dei Premi Nobel lo definì il “messaggero per l'umanità”.
Elie Wiesel ha continuato a adempiere alla missione di messaggero per la pace fino alla sua morte, avvenuta a New York il 2 luglio 2016.
Elie fu rinchiuso che non aveva neanche sedici anni... ecco come descrisse il suo drammatico arrivo al campo di Auschwitz, nel libro "La notte", tradotto in 30 lingue e venduto in milioni di copie:

MAI DIMENTICHERO’

Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo,
che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata.
Mai dimenticherò quel fumo.
Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi
trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto.
Mai dimenticherò quelle fiamme che bruciarono per sempre la mia fede.
Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l'eternità il desiderio di vivere.
Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima,
e i miei sogni, che presero il volto del deserto.
Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai.

(Eliezer Wiesel, La notte)


"La notte" è il primo libro di una trilogia – La notte, L'alba e Il giorno – che riflette lo stato d'animo di Elie Wiesel durante e dopo l'Olocausto.
I titoli rimarcano la transizione dall'oscurità alla luce, secondo la tradizione ebraica di considerare l'inizio di un nuovo giorno il calar della notte.

 "Voglio far vedere la fine, la finalità del tragico evento. Ogni cosa va verso la fine – l'uomo, la storia, la letteratura, la religione, Dio. Non c'è più nulla. Eppure noi ricominceremo con la notte.

(Eliezer Wiesel, La notte)


LA GIORNATA DELLA MEMORIA - Klara Relinole


E' passato molto tempo, ma fosse anche passato un millennio dall' Olocausto, dobbiamo ricordarlo sempre come se fosse accaduto ieri...

LA GIORNATA DELLA MEMORIA 

Oggi
i nostri cuori
la Giornata della Memoria
celebrano
per non dimenticare
echi antichi
di un calvario
di pianti e di sofferenze
di torture e di violenze
di atrocità e di resistenze
di esecuzioni
di silenzi.

Oggi
i nostri cuori
trafitti dal filo spinato
della storia
rosari di lacrime e nostalgie
intrecciano
e nei campi dell’Olocausto
parole di speranza seminano
perché dalle vittime
dell’intolleranza e dell’odio
nazista
un futuro di sentimenti germogli

Klara Relinole

25 gennaio 2019

HO SCELTO TE - Charles S. Lawrence


Una romantica buonanotte...

HO SCELTO TE

Nel silenzio della notte
io ho scelto te.
Nello splendore del firmamento,
io ho scelto te.
Nell’incanto dell’aurora,
io ho scelto te.
Nelle bufere più tormentose,
io ho scelto te.
Nell’arsura più arida,
io ho scelto te.
Nella buona e nella cattiva sorte,
io ho scelto te.
Nella gìoia e nel dolore,
io ho scelto te.
Nel cuore del mio cuore,
io ho scelto te.

Charles S. Lawrence

24 gennaio 2019

SAN FRANCESCO DI SALES - 24 gennaio


SAN FRANCESCO DI SALES 

Il “Martyrologium Romanum” riporta la commemorazione di San Francesco di Sales nell'anniversario della sua morte, avvenuta il 28 dicembre, ma per l'inopportuna coincidenza con il Natale, il calendario liturgico della Chiesa universale ha fissato la sua memoria obbligatoria al 24 gennaio, giorno della traslazione delle reliquie ad Annecy.
San Francesco di Sales, vescovo di Ginevra e dottore della Chiesa, è uno dei maestri di spiritualità degli ultimi secoli: vero pastore di anime, ricondusse alla comunione cattolica moltissimi fratelli, con la sua saggezza pastorale e la sua dolcezza seppe attirare all’unità della Chiesa molti calvinisti e con i suoi scritti insegnò ai cristiani la devozione e l’amore di Dio.
Viene considerato una delle grandi figure della Controriforma e della mistica cattolica francese e a ragione può essere considerato uno dei principali rappresentanti dell’Umanesimo.
San Francesco di Sales è patrono dei giornalisti, autori, scrittori, sordomuti e anche del Terz'Ordine dei Minimi, associazione di laici che si propone di vivere il Vangelo secondo il modello di San Francesco di Paola, di cui entrò a far parte nel 1617.


"Se sbaglio, voglio sbagliare piuttosto per troppa bontà che per troppo rigore".
(San Francesco di Sales)
  
Francesco nacque a Thorens-Glières il 21 agosto 1567, primogenito del signore di Boisy, nobile di antica famiglia savoiarda.
Sin dalla più tenera età ricevette un’accurata educazione, coronata dagli studi universitari di giurisprudenza a Parigi e a Padova, città dove concluse con grande lode il ciclo di studi.
 Ritornato in patria fu nominato avvocato del Senato di Chambéry, ma sin dalla sua frequentazione accademica erano iniziati ad emergere i suoi preminenti interessi teologici e la vocazione sacerdotale.
Deludendo fortemente le aspettative paterne, nel 1593 ricevette l’ordinazione presbiterale ed il 21 dicembre celebrò la sua prima Messa.


"Il cristiano preferirà sempre essere incudine piuttosto che martello, derubato che ladro, ucciso che uccisore, martire che tiranno."
(San Francesco di Sales)

Sacerdote zelante ed instancabile lavoratore nella vigna del Signore, visti gli scarsi risultati ottenuti dal pulpito, si diede alla pubblicazione di fogli volanti che egli stesso lasciava scivolare sotto gli usci delle case o affiggeva ai muri, motivo per cui il 26 gennaio 1923, in occasione del III centenario della morte, papa Pio XI lo commemorò con l'enciclica “Rerum Omnium Perturbationem”,   proclamandolo "Patrono dei giornalisti" e di "tutti quei cattolici che, con la pubblicazione o di giornali o di altri scritti illustrano, promuovono e difendono la cristiana dottrina".
Neppure questo sistema si rivelò efficace, allora, mentre imperversava la Riforma calvinista, Francesco chiese di essere destinato a Ginevra, città simbolo supremo del calvinismo e massima sede dei riformatori, per la difficile missione di predicatore cattolico.

Carlo Maratta - La Vergine appare a S. Francesco di Sales, 1691 circa (Pinacoteca civica, Bassano del Grappa)

Stabilitosi dunque a Ginevra, non si fece remore a discutere di teologia con i protestanti, ardendo dal desiderio di recuperare quante più anime possibili alla causa di Cristo.
I suoi enormi sforzi ed i grandi successi pastorali, gli meritarono la nomina a vescovo coadiutore di Ginevra già nel 1599, dopo soli sei anni di sacerdozio.
Dopo altri tre anni divenne vescovo a pieno titolo e si prodigò per l’introduzione nella sua diocesi delle riforme promulgate dal Concilio di Trento.
Nonostante i suoi sforzi, Ginevra rimase comunque in mano ai riformati e il novello vescovo fu costretto a trasferire la sua sede nella cittadina savoiarda di Annecy.

Valentin Metzinger - S. Francesco di Sales
 in polemica con un calvinista, 1753 -1755 
( Narodna Galerija, Lubiana)
.
San Francesco di Sales riuscì a influenzare le maggiori figure, non solo del “grand siècle” francese, ma di tutto il Seicento europeo, riuscendo a convertire al cattolicesimo addirittura alcuni esponenti del calvinismo.
Il suo costante pensiero era rivolto inoltre alla condizione dei laici, preoccupato di sviluppare una predicazione e un modello di vita cristiana alla portata anche delle persone comuni, spesso afflitte da gravi problemi quotidiani.
Nel 1604, nel corso della sua missione di predicatore, a Dijon conobbe Giovanna Francesca Frèmiot, vedova del barone de Chantal, con cui iniziò una corrispondenza epistolare ed una profonda amicizia che portarono alla fondazione dell’Ordine della Visitazione, destinata all'assistenza dei malati.

Valentin Metzinger - S. Francesco di Sales riceve i voti 
di S. Giovanna Francesca di Chantal, 1753
( Narodna Galerija, Lubiana)

 L'Istituto si diffuse rapidamente in tutta la Francia e ben presto numerose furono le Visitandine, cioè  le suore legate all'Istituto.
Al momento della morte della nobildonna, avvenuta a Moulins il 13 dicembre del 1641, le case della Visitazione erano 75, quasi tutte fondate da "sainte Chantal", come la chiamano i francesi .
Il 28 dicembre 1622, il grande santo moriva a Lione, colpito da un attacco apoplettico, all’età di 54 anni.
Il 24 gennaio 1623 il corpo del santo fu traslato ad Annecy, nella chiesa oggi a lui dedicata, ma in seguito fu posto alla venerazione dei fedeli nella basilica della Visitation, sulla collina adiacente alla città, accanto a Santa Giovanna Francesca di Chantal.

Ubaldo Gandolfi -  S. Francesco di Sales consegna le costituzioni
 a S. Giovanna Francesca di Chantal, 1769
(Chiesa di S. Benedetto - Bologna)

Francesco di Sales fu beatificato l’8 gennaio 1662 e tre anni dopo, il 19 aprile 1665, proclamato santo dal pontefice Alessandro VII, convinto da un miracoloso episodio.
 Era il 30 aprile del 1623 quando, nell’attraversare il fiume Fier nella regione francese della Savoia, il quattordicenne Girolamo Gelin, che era in compagnia del fratellino minore Francesco, cadde da una passerella e venne travolto dalle acque.
Dopo alcune ore di ricerche fu ripescato il suo cadavere, rimasto intrappolato sott'acqua in una profonda buca.
Il corpo, descritto dal fratello come "gonfio e brutto", fu deposto in un fienile in attesa del funerale.
Il mattino seguente, al momento di deporre nella bara il corpo che già emanava un terribile lezzo, Girolamo alzò un braccio invocando il beato Francesco di Sales, provocando lo scompiglio tra i presenti: "alcuni fuggirono, altri caddero privi di sensi, qualcuno gridò al miracolo", vedendo che il ragazzo era tornato nel regno dei vivi.
Il 4 maggio dello stesso anno il parroco della vicina Les Ollières, Claudio Puthod, si recò ad Annecy, insieme ai fratelli Gelin, per ringraziare di Francesco di Sales.
  Dopo aver pregato sulla tomba del beato nella Basilica della Visitazione di Annecy, Girolamo, giunto pieno di lividi, graffi e ferite, si rialzò perfettamente risanato.
I fatti relativi alla vicenda, confermati dalle deposizioni giurate dei testimoni durante il processo di canonizzazione, tenutosi ad Annecy nel maggio 1665, furono ritenuti validi per il riconoscimento del miracolo necessario per la canonizzazione del beato.

Carlo Maratta - S. Francesco di Sales in meditazione, 1662 circa

Al nome di San Francesco di Sales si sono ispirate parecchie congregazioni, tra cui la Famiglia Salesiana fondata da San Giovanni Bosco, che si dedica principalmente alla crescita ed all’educazione dei giovani, soprattutto delle classi meno abbienti.
Francesco da Sales fu anche direttore spirituale di San Vincenzo de Paoli, il fondatore delle Dame della Carità.
Le principali opere di Francesco di Sales furono “Introduzione alla vita devota” (Filotea) e “Trattato dell'amore di Dio”, testi fondamentali della letteratura religiosa di tutti i tempi, oltre ad altre opere ascetico-mistiche, dove propone una via di santità accessibile a tutte le condizioni sociali, fondata interamente sull’amore di Dio.
Rimane ancora oggi, insieme a sant’ Agostino, il più letto e amato fra i teologi della Chiesa Cattolica.

Enrico Reffo - S. Francesco mentre scrive ispirato, 1896

BISOGNA ESSERE FEDELI NELLE GRANDI E NELLE PICCOLE OCCASIONI

"Nel Cantico dei Cantici lo Sposo confessa che la Sposa gli ha rapito il cuore con uno sguardo e un capello. Tra tutte le parti del corpo umano nessuna è più nobile dell'occhio, sia per la sua perfezione come organo, sia per la sua attività; e niente è più trascurabile di un capello. Lo Sposo divino in tal modo vuole farci capire che non gli sono accette soltanto le opere importanti dei devoti, ma anche le minori e quelle che sembrano di nessun conto. Sarà contento di noi soltanto se avremo cura di servirlo bene nelle cose importanti e di rilievo come nelle piccole e insignificanti; sia con le une che con le altre, possiamo rapirgli il cuore per amore.

Preparati dunque, Filotea, a soffrire un gran numero di grosse afflizioni per il Signore, fors'anche il martirio; deciditi a fargli dono di quanto hai di più prezioso, sempre che si degni di accettare: padre, madre, fratello, marito, moglie, figli, i tuoi occhi e la tua vita; a tutto ciò devi preparare il cuore.

Quando la Divina Provvidenza non ti manda afflizioni acute e pesanti, insomma non ti chiede gli occhi, donale almeno i capelli: voglio dire, sopporta con dolcezza le piccole offese, gli inconvenienti insignificanti, quelle sconfitte da poco sempre all'ordine del giorno; per mezzo di tutte queste piccole occasioni, usate con amore e direzione, conquisterai totalmente il suo cuore e lo farai tuo.

I piccoli gesti quotidiani di carità, un mal di testa, un mal di denti, un lieve malessere, una stranezza del marito o della moglie, un vaso rotto, un dispetto, una smorfia, la perdita di un guanto, di un anello, di un fazzoletto; quel piccolo sforzo per andare a letto presto la sera e alzarsi al mattino di buon'ora per pregare, per fare la comunione; quella piccola vergogna che si prova a fare in pubblico un atto di devozione; a farla breve, tutte le piccole contrarietà accettate e abbracciate con amore fanno infinitamente piacere alla Bontà divina, che, per un bicchiere d'acqua, ha promesso il mare della felicità completa ai fedeli; e siccome queste occasioni si presentano in continuazione, servirsene bene è un mezzo sicuro per accumulare grandi ricchezze spirituali"

(Da "La Filotea" di san Francesco di Sales, parte III, Cap. XXXV) 


DALLA "INTRODUZIONE ALLA VITA DEVOTA"

"Nella creazione Dio comandò alle piante di produrre i loro frutti, ognuna “secondo la propria specie” (Gn 1, 11). Lo stesso comando rivolge ai cristiani, che sono le piante vive della sua Chiesa, perché producano frutti di devozione, ognuno secondo il suo stato e la sua condizione.

La devozione deve essere praticata in modo diverso dal gentiluomo, dall’artigiano, dal domestico, dal principe, dalla vedova, dalla donna non sposata e da quella coniugata. Ciò non basta, bisogna anche accordare la pratica della devozione alle forze, agli impegni e ai doveri di ogni persona.

Dimmi, Filotea, sarebbe conveniente se il vescovo volesse vivere in una solitudine simile a quella dei certosini? E se le donne sposate non volessero possedere nulla come i cappuccini? Se l’artigiano passasse tutto il giorno in chiesa come il religioso, e il religioso si esponesse a qualsiasi incontro per servire il prossimo come è dovere del vescovo? Questa devozione non sarebbe ridicola, disordinata e inammissibile? Questo errore si verifica tuttavia molto spesso. No, Filotea, la devozione non distrugge nulla quando è sincera, ma anzi perfeziona tutto e, quando contrasta con gli impegni di qualcuno, è senza dubbio falsa.

L’ape trae il miele dai fiori senza sciuparli, lasciandoli intatti e freschi come li ha trovati. La vera devozione fa ancora meglio, perché non solo non reca pregiudizio ad alcun tipo di vocazione o di occupazione, ma al contrario vi aggiunge bellezza e prestigio.

Tutte le pietre preziose, gettate nel miele, diventano più splendenti, ognuna secondo il proprio colore, così ogni persona si perfeziona nella sua vocazione, se l’unisce alla devozione. La cura della famiglia è rèsa più leggera, l’amore fra marito e moglie più sincero, il servizio del principe più fedele, e tutte le altre occupazioni più soavi e amabili.

E’ un errore, anzi un’eresia, voler escludere l’esercizio della devozione dall’ambiente militare, dalla bottega degli artigiani, dalla corte dei principi, dalle case dei coniugati. E’ vero, Filotea, che la devozione puramente contemplativa, monastica e religiosa può essere vissuta solo in questi stati, ma oltre a questi tre tipi di devozione, ve ne sono molti altri capaci di rendere perfetti coloro che vivono in condizioni secolari. Perciò dovunque ci troviamo, possiamo e dobbiamo aspirare alla vita perfetta."

(Dalla "Introduzione alla vita devota" di san Francesco di Sales, parte I, Cap. III)


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