31 dicembre 2016

BRINDO AL NUOVO ANNO - Anton Vanligt


Mettiamo al fresco una bottiglia di spumante dolce e frizzantino da stappare a mezzanotte per brindare insieme al Nuovo Anno!
Nel frattempo andiamo a mettere un bel vestito elegante e non scordiamo la lingerie rossa, sperando in un anno fortunato...
Cin cin!

BRINDO AL NUOVO ANNO

Brindo agli amici e ai nemici.
Alle persone che mi hanno fatto del male rendendomi più forte, forgiando il mio carattere.

Brindo agli amici che hanno riso con me, ma che hanno anche condiviso le lacrime, mi hanno teso la mano quando ne ho avuto bisogno, e non sono scomparsi come molti fanno, nel momento del buio.

Brindo ai miei genitori che mi hanno dato la vita, e alle mie sorelle che l’hanno arricchita costruendo con me quelle basi solide di un rispetto familiare che a nulla si può paragonare.

Brindo alla scrittura, che da sempre è stata la mia via di fuga quando la vita diventava insopportabilmente pesante.

Brindo a un nuovo anno che si appresta ad arrivare, alle speranze risposte in esso, e al ricordo di tutti gli anni trascorsi fino ad oggi.

Brindo allo specchio, questo sconosciuto da cui fuggo, impaurito dal suo saper parlare senza voce, dal suo dir tutto senza impiegare le parole.

Brindo a questa meravigliosa vita, a questo viaggio bellissimo che ci è stato concesso d’iniziare. E alla mia valigia d’esperienza, che mai smetterò d’aver voglia
di riempire!

Anton Vanligt

30 dicembre 2016

LA PICCOLA FIAMMIFERAIA - H.C.Andersen


Scritta dallo scrittore danese Hans Christian Andersen e pubblicata per la prima volta nel 1848, "La piccola fiammiferaia" è la fiaba tragica di una bambina povera e maltrattata da raccontare nella notte di San Silvestro, ma  come tutte le fiabe che si rispettino, anche questa termina con un lieto fine...per quanto insolito.
Potrebbe servire a spiegare ai bambini che avere dei genitori amorevoli, una casa calda e il pancino pieno è  già una gran fortuna da non sottovalutare!


Faceva molto freddo, nevicava e calava l'ultima dell’anno, la sera di San Silvestro. Nel freddo e nell'oscurità, una povera bimbetta girava per le strade, a capo scoperto e a piedi nudi. Veramente, quand'era uscita da casa, aveva delle pantofole che prima erano appartenute a sua madre, ma erano così larghe e sgangherate che la bimba le aveva perdute traversando in fretta la strada per scansare due carrozze che procedevano con furia: una pantofola non si era più trovata, e l’altra se l’era presa un monello che aveva l'intenzione di farne una culla per la bambola della sorella.
 Così la bambina camminava con i piccoli piedi nudi, diventati rossi e bluastri dal freddo.
 Nel vecchio grembiule aveva una dei fiammiferi che avrebbe dovuto vendere, ma in tutta la giornata non gliene avevano comprato neppure uno e nessuno le aveva dato un soldo nemmeno per pietà.
La fame e il freddo la attanagliavano, il visetto era contrito e patito mentre i fiocchi di neve le cadevano sui lunghi capelli biondi.
Tutte le finestre della città scintillavano di luci e per le strade si spandeva l’odorino dell’arrosto che si preparava nelle famiglie per la vigilia di capodanno.
Il freddo era sempre più tagliente, ma la bimba non osava ritornare a casa con tutti i fiammiferi e nemmeno un soldino, sapendo che il babbo l’avrebbe picchiata per questo.


Si rifugiò allora nell’angolo formato da due case, rannicchiandosi tutta, sperando in un po’ di calore.
Le sue manine erano quasi morte dal freddo e lei pensando di riscaldarle, cavò di tasca un fiammifero e trac, lo sfregò contro il muro.  Come scoppiettò, come bruciò! Mandò una fiamma calda e chiara come una piccola candela, quando lei la parò con la manina. Che strana visione apparve nella luce! Pareva alla piccina d’essere seduta dinanzi ad una grande stufa di ghisa, con le borchie e il coperchio di ottone lucido, mentre il fuoco ardeva allegramente e riscaldava così bene!
 La piccina allungò le mani e i piedini, per riscaldare anche quelli… ma la fiamma si spense, la stufa scomparve e lei si ritrovò seduta al freddo, con il legnetto del fiammifero bruciato tra le mani.
 Allora ne accese un altro: anche questo bruciò, rischiarando il muro, che divenne trasparente come un vetro. La bimba vide proprio l'interno della stanza, dove troneggiava una tavola apparecchiata con una tovaglia di un bianco immacolato e con finissime porcellane: al centro, in un vassoio, un'oca ripiena di mele cotte e di prugne fumava deliziosamente.
La cosa più strabiliante fu che, all'improvviso, l'oca si mise a volare sopra la tavola dirigendosi nella sua direzione e la bambina stupefatta sperò in un delizioso pranzetto; purtroppo il fiammifero si spense prima e non si vide più che il muro bianco e freddo.
 La piccolina accese un terzo fiammifero e si ritrovò sotto a un magnifico albero addobbato, il più bello che si possa immaginare!
  Mille candeline scintillavano sui rami verdi, illuminando giocattoli meravigliosi.
Lei tese le mani per afferrarli e...  il fiammifero si spense. Tutte le candeline di Natale salirono in alto, diventando stelle luminose e una di loro tracciò una scia luminosa nel cielo: era una stella cadente.


La bambina pensò alla nonna che spesso le parlava delle stelle.
La vecchia nonna spesso le aveva detto che quando cade una stella, c’è un'anima che sale in cielo.
La nonna era l'unica che l'avesse mai trattata con affetto e tenerezza! Peccato che non fosse più al mondo...
 Strofinò contro il muro un altro fiammifero e stavolta in un abbagliante chiarore apparve proprio  la sua buona e mite nonna che le sorrideva con dolcezza.
 - Nonna! - gridò la bambina tendendole le braccia, - ti prego, prendimi con te! So che quando il fiammifero si spegnerà anche tu sparirai come sono spariti la  stufa calda, l’oca  ed il grande albero di Natale! In fretta sfregò il resto dei fiammiferi del mazzo per trattenere la nonna.
I fiammiferi arsero con tal bagliore che l’aria fu più chiara che in pieno giorno: la nonna, che non era mai stata così bella, così grande, prese la bambina tra le sue braccia, e insieme volarono lassù, dove non c’è più fame, né freddo, né angustia.
Leggere come piume giunsero velocemente in Paradiso.


 Il mattino dopo, i primi passanti scoprirono il corpicino della bambina morta assiderata, con i fiammiferi bruciacchiati intorno.
Capirono che la piccola avesse voluto riscaldarsi con le fiammelle dei fiammiferi, ma nessuno capì il perché di quel sorriso rimastole impresso sulle labbra: nessuno poteva immaginare tutte le belle cose che la bimba aveva visto e con quanta luce e gioia era entrata, abbracciata alla vecchia nonna, nell’alba del Nuovo Anno.

Nessuno poteva immaginare che ora erano con Dio.


LA SACRA FAMIGLIA - Tita Coppola


Natività- Julio Padrino

Secondo il calendario del rito romano, la domenica che intercorre tra il Natale e il Capodanno si festeggia la Festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe: esempio santissimo per le famiglie cristiane che ne invocano il necessario aiuto.
Se non intercorre tra le due date una domenica, allora la celebrazione della festa si sposta al 30 dicembre...


LA SACRA FAMIGLIA

Ai pastorelli
nel sonno pieno
“Presto, svegliatevi!”
gli angeli cantano
e dentro una capanna
di legno e di paglia
vanno a vedere la
la sacra famiglia.
Mentre Maria
il bambino cullava
e la ninna nanna
gli cantava,
il bue e l’asinello,
col loro fiato,
riscaldavano
Gesù appena nato
e San Giuseppe,
tutto contento,
adorava
il grande portento!

Tita Coppola

27 dicembre 2016

SERGEJ ALEKSANDROVIC ESENIN

 Esenin ritratto da Lydia Schaleman

SERGEJ  ALEKSANDROVIC ESENIN

La notte del 27 dicembre 1925, il poeta russo Sergej Aleksandrovič Esenin, chiuso nella camera numero 5 dell’Hotel Angleterre (ora Astoria) a San Pietroburgo, si tagliuzzava le vene e col sangue sgorgato scriveva la sua ultima poesia d'amore e d'addio.
Esenin consegnò il giorno dopo all'amico Volf Erlich il foglietto sul quale erano state scritte le due quartine, pregandolo però di aprirlo solo in seguito, e non rinuncia a impressionarlo dicendogli di averle scritte col suo stesso sangue per supplire alla mancanza d’inchiostro in albergo.
L’amico, prendendola come l’ennesima stravaganza del poeta, mise in tasca il foglietto e non se ne ricordò fino alla morte di Esenin  che  il 29 dicembre s’impiccava con la cintura della valigia a un tubo del riscaldamento nella  camera d’albergo.
I versi presumibilmente erano dedicati ad Anatoli Mariengof, anch’egli poeta, suo grande amico, di cui era stato per un certo tempo convivente negli ultimi quattro anni della sua vita e secondo molti anche amante ...

 Sergei Esenin e Anatolj Mariengof

CONGEDO

Arrivederci, amico mio, arrivederci,
tu sei nel mio cuore.
Una predestinata separazione
un futuro incontro promette.
Arrivederci amico mio,
senza strette di mano e parole,
non rattristarti e niente
malinconia sulle ciglia:
morire in questa vita non è nuovo,

ma più nuovo non è nemmeno vivere.

Sergej Aleksandrovič Esenin, il più importante esponente della cosiddetta scuola dei "poeti contadini", nasce il 3 ottobre 1895 a Konstantinovo (oggi Esenino), nella regione russa di Rjazan.
 Il padre, Aleksandr Nikitic, era un povero contadino che ben presto abbandonò la moglie Tatjana Titova per andare a lavorare in una macelleria di Mosca. Quando Sergej ebbe due anni, la madre s’impiegò come domestica e il piccolo andò a vivere con i nonni materni. Il nonno Fëdor, uomo religioso e di discreta cultura, avrebbe voluto far del nipotino un maestro e con questo intento lo iscrisse al collegio magistrale superiore di Spas-Klepik, col malcontento di Sergej che non ne sopportava la rigida disciplina.
Pare che Sergeij scrivesse già a otto anni, anche se le prime poesie conosciute risalgono al 1910 e nello specifico "La betulla"  fu la prima  che gli  pubblicarono su un giornaletto per ragazzi.

LA BETULLA

Bianca betulla
sotto la mia finestra
ti sei coperta di neve
come fosse argento.

Sui rami vellutati
come un bordo delicato
si sono schiusi grappoli
tipo una bianca frangia.

E sta la betulla
nel silenzio assonnato
ed ardono i cristalli di neve
nel fuoco dorato.

Ma l’aurora girando
pigramente attorno,
cosparge di rami
di nuovo argento.


I suoi versi cantano il folclore russo ed il mondo rurale di una Russia che stava morendo; le sue parole esaltano le bellezze della campagna, l'amore verso gli animale, ma anche l'amore per la vodka e gli eccessi della sua vita.
Smessi gli studi, va a Mosca a lavorare nella macelleria del padre, poi sarà commesso in una libreria, fattorino e, infine, correttore di bozze presso una casa editrice. Si sposa per la prima volta nel 1913 con la collega di lavoro Anna Izrjadnova, dalla quale ha Yuri, il figlio di cui mai si occuperà e che, arrestato durante le grandi purghe staliniste, morirà in un gulag nel 1937.
 Il matrimonio ebbe breve durata e nel marzo 1915 Sergej Esenin si trasferisce a San Pietroburgo, dove frequenta i circoli letterari, conoscendo i poeti Aleksandr Blok, Sergej Gorodeckij, Nikolaj Kljuev.
Esenin, bellissimo, romantico, spregiudicato al punto da cercare l’appoggio di uomini influenti: è' difatti grazie a Alexander Blok che viene promossa le sua carriera di poeta.
"Radunica" (nome intraducibile della festa contadina in cui venivano commemorati i morti della prima settimana di Pasqua), è il  primo libro di poesie pubblicato, subito seguito da "Rito per il morto"  nel 1916.
Non appena ebbe ottenuto dagli uomini il lancio che gli serviva, passò attraverso vari matrimoni con donne importanti che gli garantivano l'interessamento delle cronache mondane per accrescere la sua fama.
Nel periodo 1916-1917 Sergej Esenin viene chiamato alle armi, ma grazie alle sue conoscenze non fu inviato al fronte e poco dopo la rivoluzione d'ottobre del 1917, la Russia esce dalla prima guerra mondiale; credendo che la rivoluzione avrebbe comportato un miglioramento, Esenin la sostiene, ma ben presto si disillude arrivando persino a criticare il governo bolscevico.
E’ in questo periodo che Esenin scrive poesie e poemi importanti per la sua carriera artistica: escono le raccolte “Azzurrità”, “Trasfigurazione”, “Il breviario di campagna”

I FIORI MI DICONO ADDIO
  
I fiori mi dicono addio,
Scrollando in giù le corolle,
Perch'io mai più rivedrò
Il suo volto e il paese natio.

Non importa, mia cara, non importa!
Li ho visti ed ho visto la terra,
E accolgo questo brivido tombale
Come se fosse una nuova carezza.

E poiché penetrai l'intera vita
Passandole dinanzi sorridendo,
Mi dico ad ogni istante
Che a questo mondo tutto si ripete.

Verrà un altro, e che importa! La tristezza
Non cancella chi parte: per la donna
Abbandonata e cara comporrà
Il successore un canto ancor più bello.

E nel silenzio ascoltandolo
Dal nuovo amante l'amata,
Di me può darsi si ricorderà
Come di un fiore che non si ripete.


Nell’agosto 1917 sposa Zinaida Raich, che diventerà un’attrice famosa e che lascerà dopo soli 2 anni nonostante la nascita dei figli Tatjana e Konstantin.
Alla fine del 1918 in una serata di poesia conosce Anatoli Marienhof e lui, il campagnolo, si sente fortemente attratto da quel brillante ragazzo di buona famiglia . Nascerà tra i due un’amicizia che durerà a lungo e una collaborazione artistica che darà vita, assieme ad altri poeti, al movimento che prenderà il nome di “immaginismo”.
Il punto cardine della caduta spirituale e fisica per Esenin, coincide con l’inizio della relazione con Isadora Duncan, la famosa quanto spregiudicata danzatrice americana che si vantava di essere bolscevica nonostante non capisse nulla di politica.
La conosce nel 1921 in casa di amici: lei sapeva solo poche parole in russo, lui poche in inglese, ma andarono a vivere insieme la sera stessa.

 Isadora Duncan e  Sergei Esenin 

La sua relazione con lei, di 17 anni più anziana, fu particolarmente tormentata e difficile, nonché ricca di stranezze in parte  dovute ai fiumi di alcol : clamoroso fu l'episodio in cui a Parigi i due furono cacciati da un albergo perché la Duncan ballava nuda, mentre Esenin recitava versi. Fu quello il tempo dove maggiormente, per le sue intemperanze, si guadagnò il titolo di “teppista” dalle molte stravaganze.
Il matrimonio che secondo molti fu per entrambi una mossa pubblicitaria, si celebrò il 2 maggio 1922, ma si separarono l’anno successivo a causa dei rispettivi caratteri che s’incendiavano a vicenda e anche a  causa di un grave episodio avvenuto in America, dove, nel corso di una cena, Esenin, durante un diverbio, scagliò dall'altra parte del tavolo un pesante vassoio in argento massiccio che rischiò di far perdere letteralmente  la testa a un ambasciatore .
Isadora che desiderava accanto un uomo decorativo e di rappresentanza, , mentre Esenin era  completamente ingestibile , ribelle e spesso depresso, non tollerò l’accaduto e ruppe con lui ogni rapporto.
Non s’incontrarono mai più, ma pare che Isadora poi portò sempre con sé il ritaglio del giornale che annunciava il suicidio dell’ex  marito.

Isadora Duncan e  Sergei Esenin 

NON HO RIMPIANTI

Non ho rimpianti, non chiedo aiuto, non piango
Tutto passerà come la bruma dai meli bianchi
Appassito in una decadenza dorata
Io non sarò più giovane.
Anche il mio cuore toccato dal gelo
non batte più come una volta
ed il paese della tela di betulla
non mi spingerà più a vagabondare a piedi nudi.
Spirito randagio! Sempre meno
attizzi il fuoco delle mie labbra,
freschezza della giovinezza
ardore degli occhi, fiume di sentimenti dove siete!
Ora sono diventato avaro nel desiderio
forse ti ho sognato vita mia?
Davvero all'alba della mia primavera tuonante
ho cavalcato un destriero rosa?
Noi tutti a questo mondo siamo votati alla fine
Il colore ramato delle foglie d'acero goccia silenziosamente
Siamo dunque felici,  siamo stati benedetti
d'essere nati per fiorire e poi morire.

Tornato a Mosca, ebbe subito una stretta relazione con l'attrice Augusta Miklaševskaja,  poi convive per qualche tempo con la devota cameriera Galina Benislavskaja, che si ucciderà sulla tomba di Esenin un anno dopo la sua morte.
 Nello stesso anno ebbe dalla poetessa Nadežda Vol'pin, un figlio che non conobbe mai, Aleksandr, che sarebbe poi diventato un importante poeta e attivista nel movimento dissidente dell'Unione Sovietica e, dopo essersi trasferito negli Stati Uniti, anche un importante matematico.
 Il comportamento di Esenin divenne progressivamente sempre più problematico e negli ultimi due anni della sua vita vive tra gli eccessi, spesso ubriaco; questo periodo di disperazione personale è però anche quello in cui crea alcune delle sue poesie più belle e note.
Nella primavera del 1925 sposa Sofia Andreevna, nipote di Lev Tolstoj che cerca di aiutarlo a risalire la china, ma Esenin non riesce a evitare un altro esaurimento nervoso ed entra in un ospedale psichiatrico, dove resta per un mese.
Fu dimesso due giorni prima di Natale per permettergli di trascorrere le feste a casa, ma lui preferì  rifugiarsi in quella camera  d’albergo dove  prima si tagliò un polso per scrivere  la  poesia d'addio col sangue per poi  impiccarsi  il giorno dopo a soli 30 anni.
La camera era la stessa dove aveva pernottato durante il viaggio di nozze con Isadora Duncan.
Ci sono tuttavia molte ombre sulla fine del poeta: alcuni sostengono che il suicidio sia stato una montatura e che in realtà Esenin sarebbe stato ucciso da agenti del GPU, che non avrebbero accettato le critiche del poeta al regime sovietico.
Tesi rafforzata quando furono pubblicate sui giornali le fotografie di Esenin morto dove si riscontravano in effetti diverse anomalie e a tuttora sulla sua morte non è stata fatta sufficiente chiarezza.



Sebbene fosse uno dei poeti più famosi della Russia e gli fosse stato fatto   un importante  funerale di Stato, la maggior parte dei suoi scritti furono infatti messi all'indice dal Cremlino durante la dittatura di Josif Stalin e il governo di Nikita Chruščëv e molto probabilmente,  se Esenin fosse vissuto più a lungo, avrebbe condiviso la sorte dell’amico Kljuev, che fu deportato in Siberia e vi morì nel 1937.
 Fu solo nel 1966 che la maggior parte delle sue opere fu ripubblicata.
Negli ultimi decenni l'opera di Esenin è stata nuovamente rivalutata ottenendo un buon successo e molte sue poesie sono state musicate e registrate come canzoni popolari.
Esempio ne è in Italia, la "Confessione d'un teppista", una sua poesia del 1920, diventata un grande successo di Angelo Branduardi.

Sergej Esenin è sepolto al cimitero Vagan'kovskoe di Mosca, in una  sua tomba ornata da una bella  scultura di marmo .

CONFESSIONI DI UN  TEPPISTA

Non tutti son capaci di cantare
E non a tutti è dato di cadere
Come una mela, verso i piedi altrui.
È questa la più grande confessione
Che mai teppista possa confidarvi.
Io porto di mia voglia spettinata la testa,
Lume a petrolio sopra le mie spalle.
Mi piace nella tenebra schiarire
Lo spoglio autunno delle anime vostre;
E piace a me che mi volino contro
I sassi dell'ingiuria,
Grandine di eruttante temporale.
Solo più forte stringo fra le mani
L'ondulata mia bolla dei capelli.
È benefico allora ricordare
Il rauco ontano e l'erbeggiante stagno,
E che mi vivono da qualche parte
Padre e madre, infischiandosi del tutto
Dei miei versi, e che loro son caro
Come il campo e la carne, e quella pioggia fina
Che a primavera fa morbido il grano verde.
Per ogni grido che voi mi scagliate
Coi forconi verrebbero a scannarvi.
Poveri, poveri miei contadini!
Certo non siete diventati belli,
E Iddio temete e degli acquitrini le viscere.
Capiste almeno
Che vostro figlio in Russia
È fra i poeti il più grande!
Non si gelava il cuore a voi per lui,
Scalzo nelle pozzanghere d'autunno?
Adesso va girando egli in cilindro
E portando le scarpe di vernice.
Ma vive in lui la primigenia impronta
Del monello campagnolo.
Ad ogni mucca effigiata
Sopra le insegne di macelleria
Si inchina da lontano.
Ed incontrando in piazza i vetturini
Ricorda l'odore del letame sui campi,
Pronto, come uno strascico nuziale,
A reggere la coda dei cavalli.
Amo la patria. Amo molto la patria!
Pur con la sua tristezza di rugginoso salice.
Mi son gradevoli i grugni insudiciati dei porci,
E nel silenzio notturno l'argentina voce dei rospi.
Teneramente malato di memorie infantili
Sogno la nebbia e l'umido delle sere d'aprile.
Come a scaldarsi al rogo dell'aurora
S'è accoccolato l'acero nostro.
Ah, salendone i rami quante uova
Ho rubato dai nidi alle cornacchie!
È sempre uguale, con la verde cima?
È come un tempo forte la corteccia?
E tu, diletto,
Fedele cane pezzato!
Stridulo e cieco t'hanno fatto gli anni,
E trascinando vai per il cortile la coda penzolante,
Col fiuto immemore di porte e stalla.
Come grata ritorna quella birichinata:
Quando il tozzo di pane rubacchiato
Alla mia mamma, mordevamo a turno
Senza ribrezzo alcuno l'un dell'altro.
Sono rimasto lo stesso, con tutto il cuore.
Fioriscono gli occhi in viso
Simili a fiordalisi fra la segala.
Stuoie d'oro di versi srotolando,
Vorrei parlare a voi teneramente.
Buona notte! buona notte a voi tutti!
La falce dell'aurora ha già tinnito
Fra l'erba del crepuscolo.
Voglio stanotte pisciare a dirotto
Dalla finestra mia sopra la luna!
Azzurra luce, luce così azzurra!
In tanto azzurro anche morir non duole.
E non mi importa di sembrare un cinico
Con la lanterna attaccata al sedere!
Mio vecchio, buono ed estenuato Pégaso,
Mi serve proprio il tuo morbido trotto?
Io, severo maestro, son venuto
A celebrare i topi ed a cantarli.
L'agosto del mio capo si versa quale vino
Di capelli in tempesta.
Ho voglia d'essere la vela gialla
Verso il paese cui per mare andiamo.


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