31 marzo 2018

MARIA, DONNA DEL SABATO SANTO - Don Tonino Bello


MARIA, DONNA DEL SABATO SANTO

Santa Maria, donna del Sabato santo, estuario dolcissimo nel quale almeno per un giorno si è raccolta la fede di tutta la Chiesa, tu sei l'ultimo punto di contatto col cielo che ha preservato la terra dal tragico blackout della grazia. Guidaci per mano alle soglie della luce, di cui la Pasqua è la sorgente suprema.

Stabilizza nel nostro spirito la dolcezza fugace delle memorie, perché nei frammenti del passato possiamo ritrovare la parte migliore di noi stessi. E ridestaci nel cuore, attraverso i segnali del futuro, una intensa nostalgia di rinnovamento, che si traduca in fiducioso impegno a camminare nella storia.

Santa Maria, donna del Sabato santo, aiutaci a capire che, in fondo, tutta la vita, sospesa com'è tra le brume del venerdì e le attese della domenica di Risurrezione, si rassomiglia tanto a quel giorno. È il giorno della speranza, in cui si fa il bucato dei lini intrisi di lacrime e di sangue, e li si asciuga al sole di primavera perché diventino tovaglie di altare.

Ripetici, insomma, che non c'è croce che non abbia le sue deposizioni. Non c'è amarezza umana che non si stemperi in sorriso. Non c'è peccato che non trovi redenzione. Non c'è sepolcro la cui pietra non sia provvisoria sulla sua imboccatura. Anche le gramaglie più nere trascolorano negli abiti della gioia. Le rapsodie più tragiche accennano ai primi passi di danza. E gli ultimi accordi delle cantilene funebri contengono già i motivi festosi dell'alleluia pasquale.

Santa Maria, donna del Sabato santo, raccontaci come, sul crepuscolo di quel giorno, ti sei preparata all'incontro col tuo figlio Risorto. Quale tunica hai indossato sulle spalle? Quali sandali hai messo ai piedi per correre più veloce sull'erba? Come ti sei annodata sul capo i lunghi capelli di nazarena? Quali parole d'amore ti andavi ripassando segretamente, per dirgliele tutto d'un fiato non appena ti fosse apparso dinanzi?

Madre dolcissima, prepara anche noi all'appuntamento con lui. Destaci l'impazienza del suo domenicale ritorno. Adornaci di vesti nuziali. Per ingannare il tempo, mettiti accanto a noi e facciamo le prove dei canti. 
Perché qui le ore non passano mai.

Don Tonino Bello
(Maria,donna dei nostri giorni,ed.San Paolo)



GUARDANDO IL CROCIFISSO - Angelo Comastri



Perdonaci Gesù, se dopo averti messo in croce, continuiamo a conficcarti spine nel cuore con i nostri stolti comportamenti!
Come ripaghiamo male il tuo sacrificio e come poco ricambiamo il tuo immenso amore.
lo sfruttiamo  certo non sei fiero dell'umanità che hai salvato a prezzo del tuo Sangue!
Perdonaci Gesù, ancora e ancora...

GUARDANDO IL CROCIFISSO

O Gesù, mi fermo pensoso ai piedi della Croce
anch’io l’ho costruita con i miei peccati!
La Tua bontà, che non si difende e si lascia crocifiggere,
è un mistero che mi supera e mi commuove profondamente.
Signore, Tu sei venuto nel mondo per me,
per cercarmi, per portarmi l’abbraccio del Padre.
Tu sei il volto della bontà e della misericordia:
per questo vuoi salvarmi!
Dentro di me ci sono le tenebre:
vieni con la Tua limpida luce.
Dentro di me c’è tanto egoismo:
vieni con la Tua sconfinata carità.
Dentro di me c’è rancore e malignità:
vieni con la Tua mitezza e la Tua umiltà.
Signore, il peccatore da salvare sono io:
il figliol prodigo che deve ritornare sono io!
Signore concedimi il dono delle lacrime
per ritrovare la libertà e la vita,
la pace con Te e la gioia in Te. 

Card. Angelo Comastri



PLENILUNIO DI PASQUA-Anna Marinelli



La notte della nascita di Gesù è certo molto emozionante, ma senza dubbio lo è ancora di più  la notte in cui Gesù ha sconfitto la morte! 

PLENILUNIO DI PASQUA

Antifona di Resurrezione
annunzia la luna
in tutta la sua forma
e il suo volume.

Occorre che tu sappia,
o morte,
che questa luce dilatata
effonde sul creato
una pioggia di alleluia.

Si schiuderà stanotte
la pietra inamovibile.

Dal vuoto sepolcro
si leveranno voli di colombe.

E Angeli, Angeli, annunzieranno
che il soave Cristo è Risorto.

Anna Marinelli

PASQUA NEL SEPOLCRO - Giuseppe Impastato




“Oggi un grande silenzio avvolge la terra. Un grande silenzio e una grande calma. Un grande silenzio, perché il Re dorme. La terra ha rabbrividito e si è ammutolita, perché Dio si è addormentato nella carne, e l'inferno ha tremato. Dio si è addormentato per un istante, e ha svegliato coloro che erano negl'inferi... Va alla ricerca dell'uomo come della pecorella smarrita... Prende per mano l'uomo e gli dice: «Svegliati, o tu che dormi, sorgi fra i morti e Cristo t'illuminerà”
(Ef. 5, 14).

PASQUA NEL SEPOLCRO

Pasqua nel sepolcro
Può restare immobile
in un sepolcro
chi va in cerca di una pecorella smarrita
e sulla croce spalanca le braccia?

Può restare al buio e muto
in un sepolcro
chi dà la vista al cieco e la parola ai muti
e svela il luminoso volto di Dio?

Può restare prigioniero
in un sepolcro
chi libera gli uomini dalle loro carceri
e riporta a vita paralizzati e schiavi?

No. Non può restare ad ammuffire
in un sepolcro
chi si inginocchia per lavare i piedi
e spezza agli uomini pane d'amore!

E non può attendere meste lacrime
in una tomba
il chicco di grano bagnato di sangue
che pulsa di vita e si vuole donare.

(Giuseppe Impastato)


LUNGO IL CALVARIO - A. Rita Mazzocco



Quanti restano a guardare il calvario altrui senza far nulla?
E dire che siamo però così dispiaciuti da avere il cuore schiantato, non è mica una giustificazione.
 A mio giudizio aggrava anzi la situazione, perché se non si è agito dietro una spinta emotiva così forte, figuriamoci in caso contrario...

LUNGO IL CALVARIO

C’ero anch’io quella mattina
sulla Via della Croce.
Eri a poca distanza da me
mentre fra sputi ed insulti
arrancavi verso il posto
dove avevamo decretato
che Tu morissi.
Attorno a me la folla.
C’era chi voleva solo curiosare
e chi era capitato lì per caso
ma cera anche chi voleva partecipare
per vendicarsi di Te
almeno solo con lo sguardo.
L’ennesima profanazione di quel corpo
già ridotto ad un’unica piaga:
la miseria umana.

Non so dirti perché accorsi anch’io
a quella sagra dell’ingiustizia
ma, come Zaccheo, mi feci largo tra la folla
per vedere.
Ed ero in prima fila.
Tutto ciò di cui potrei essere capace era lì
davanti ai miei occhi
sprofondati tra quelle piaghe
che invocavano la morte.

Stavi per passarmi davanti
ma io non volevo più vedere oltre.
Avrei voluto essere lontano
il più lontano possibile da quello scempio
ma ormai non potevo più scappare.
Ero imbottigliato tra la folla
che i soldati romani spingevano indietro
per lasciar passare la giustizia dell’uomo.

Ora non eri più una macchia di sangue
sulla via del Calvario.
Ora si riconosceva un volto.
Ed eri ancora umano.
Dicono che Tu fossi il più bello fra gli uomini
ma io non ti avevo mai visto prima.
Quella mattina però lo eri davvero
talmente bello da non aver il coraggio di guardarti.
E abbassai lo sguardo
per non correre il rischio d’incontrare il Tuo.
Come uno struzzo sperai
d’aver scampato il pericolo di quell’incontro.

E mi passasti davanti
ma io non sollevai gli occhi da terra.
Vidi soltanto i Tuoi piedi piagati
che sostarono alcuni secondi davanti a me.
Sicuramente dovevi riprendere fiato.
Ma uno schiocco di frusta
ti richiamò al Tuo dovere di vittima...
E così riprendesti sulle spalle il mio peccato
avanzando ancora con fatica.
Ma sui sassi mi lasciasti il Tuo ricordo.

Dicono che moristi alle tre
ma io non venni a vedere.
Ero rimasto lungo la via del Calvario
seduto a terra
davanti a quell’impronta di sangue
che mi schiantava il cuore.

A. Rita Mazzocco
( Cantico di Tommaso)


30 marzo 2018

ATTESA DI VITA NUOVA - Alessandro Bianco

Christ on the Mount of Olives - Josef Untersberger

Nel silenzio. nella preghiera vicini a Gesù in questo venerdì santo...


ATTESA DI VITA NUOVA


Signore Gesù, ci hai donato il tuo pane di vita l'ultima sera,
prima di prostrarti in preghiera nel Getsemani:
siamo stati con te questa notte
ti abbiamo offerto le nostre sofferenze,
le nostre solitudini, i nostri momenti di buio.
Ora, in questo venerdì santo,
uguale ma diverso ogni anno,
siamo ancora con te.
Nel silenzio, nella preghiera.
Ti siamo accanto, ti sentiamo vicino.
Vogliamo essere sempre apostoli e discepoli
che non ti rinnegano,
che non ti tradiscono con trenta denari,
che lasciano le spade nei foderi
e ti seguono sulla via della croce,
condividendone il peso insieme a Simone di Cirene,
ti asciughiamo il volto come Veronica.
Donaci di vivere con te oggi
quando con passi sempre più incerti
cammini sulle strade polverose della nostra esistenza.
Vogliamo rimanere con te.
Non desideriamo altro che vegliare e pregare,
per non essere distratti al richiamo della tua voce
che ci chiede una goccia d'acqua
quando sulla croce stai per emettere l'ultimo sospiro.
Donaci di riconoscerti presente,
come il buon ladrone, nell'ultimo momento utile.
Con te non è mai tardi,
con te il nostro cuore è al sicuro.
Donaci di essere come Giovanni e Maria ai piedi della croce,
che non ti hanno lasciato solo sul Golgota
e sono rimasti accanto a te nel dolore più profondo.
Donaci di essere come Giuseppe d'Arimatea,
che ti ha deposto nel sepolcro nuovo,
in attesa fiduciosa della tua risurrezione.
Donaci di lasciare entrare la luce che all'alba della Pasqua
irrompe dal giardino dove la pietra rotolata
fece vivere sentimenti di incredulità e di fede nuova agli apostoli.

Alessandro Bianco


The Good Shepherd - Josef Untersberger


CUCULI CALABRESI


CUCULI CALABRESI

I cuculi cu l'ovu  sono dei dolci pasquali tipici calabresi che,  in base  alle varie zone prendono nomi diversi: cuculi, cuzzupe o  cuddrura.
Solitamente sono fatti da un impasto non troppo dolce a forma di trecce, con uova sode incastonate.
L'uovo come sappiamo  simboleggia sia in significati cristiani che pagani la rinascita e la fertilità


Ingredienti

5 uova intere più quelle da incastonare

250 gr. di zucchero semolato

250 ml. di latte

250 gr. di burro fuso (oppure, meglio, se strutto sempre fuso)

scorza grattugiata di 2 limoni

2 bustine di lievito per dolci

Farina 00 q.b


In una terrina rompere le uova, quindi aggiungere lo zucchero, il latte, il burro fuso freddo, la scorza  grattugiata di due limoni  e il lievito.
Impastare tutto aggiungendo farina tipo  00 fino ad ottenere una pasta dalla consistenza simile alla frolla: deve essere lavorabile ma non troppo morbida.
 Io ho adoperato  poco meno di 1 Kg. di farina in quanto le uova erano abbastanza grandi.
Dare la forma voluta ai cuculi , inserire nell’incavo l’uovo sodo non sgusciato e fermare con due piccole striscioline di impasto incrociate tra loro.
Spennellarli con un tuorlo d’uovo sbattuto e posizionarli su una teglia rivestita da carta forno distanziati affinchè crescendo non si attacchino tra loro.


Infornare  a 180° C, in forno statico preriscaldato,   sulla griglia centrale.
Controllare la cottura finché non saranno ben dorati, poiché la durata varia in base alla grandezza data ai cuculi.
Io non uso incastrare le uova sode nei cuculi, ma preferisco mettere al loro posto delle piccole uova di cioccolata che fermo con un po’ di colla alimentare, ovviamente dopo che i cuculi sono cotti .
In questo caso, prima di infornare, appallottolo un po’ di stagnola o carta forno per creare l’incavo nel posto dove andrà l’uovo.
I bambini gradiscono molto questi cuculi cioccolatosi e  anche io!
Per scaricare la ricetta

LA LEGGENDA DELLA PASTIERA NAPOLETANA


LA LEGGENDA DELLA PASTIERA NAPOLETANA 

La pastiera è una delizia della pasticceria napoletana che ha ottenuto il riconoscimento di prodotto agroalimentare tradizionale campano e che sicuramente conclude il pranzo pasquale di ogni italiano.
Molti si saranno chiesti come e chi concepì una simile prelibatezza e al riguardo, sono fiorite diverse leggende di cui la più nota (e anche la più cara al cuore di Napoli), è quella legata alla mitica sirena Partenope, ritenuta oltretutto fondatrice della città. 
La leggenda tramanda che la sirena Partenope, disperata per non essere riuscita a incantare con la sua voce Ulisse, l’eroe dell’Odissea, si gettò dagli scogli e, trascinata dalla corrente, approdò nel Golfo disteso tra Posillipo ed il Vesuvio, dove fu trovata e curata da alcuni pescatori.

Giulio Aristide Sartorio - La Sirena

Una volta guarita, incantata dalla bellezza dei luoghi, Partenope scelse come sua dimora la baia del Castel dell’Ovo e per ringraziare i pescatori che le avevano salvato la vita, si esibiva in un canto melodioso che struggeva d’amore e rapiva l’anima di chiunque la sentisse, tenendo compagnia al popolo e ai marinai con la sua bella voce.
Una primavera la voce di Partenope fu particolarmente   soave e le parole d’amore che dedicò agli abitanti di quei ridenti luoghi furono dolcissime.
Tutti ne rimasero talmente rapiti che per ringraziarla di un così grande diletto, decisero di offrirle i prodotti migliori della loro terra.
Furono scelte sette fra le più belle fanciulle dei villaggi, che consegnarono all’ammaliante sirena quelli che sarebbero diventati gli ingredienti della pastiera:
1) la farina, che simboleggiava ricchezza in quanto averla significava non soffrire la fame
2) la ricotta, simbolo di abbondanza
3) le uova, simbolo di vita e fertilità
4) il grano cotto nel latte, simbolo della fusione del regno animale con quello vegetale
5) i fiori d'arancio, per ricordare il profumo della terra campana
6)  le spezie e i frutti canditi, in rappresentanza dei lontani popoli d’oriente e d’occidente
7) lo zucchero scelto per lodare la dolcezza del canto di Partenope.
Partenope apprezzò molto quei doni e con le sue arti divine mescolò tutti gli ingredienti trasformandoli nella prima pastiera che i napoletani definirono addirittura più dolce del suo stesso canto.

 Jonh William Waterhouse - Sirena


Altra leggenda vuole che questo dolce sia, in una qualche modo, "figlio del mare"
Tutto accadde quando, un giorno particolarmente tempestoso, le mogli di alcuni pescatori lasciarono sulla riva delle ceste con farina, ricotta, frutta candita, grano, uova e fiori d’arancio come offerta sacrificale al mare, scongiurandolo di far tornare i loro uomini sani e salvi a terra. Durante la notte i flutti del mare mescolarono gli ingredienti, così le mogli dei pescatori al mattino seguente trovarono sulla spiaggia questo delizioso dolce che chiamarono pastiera. 

Edward Matthew Hale - Lo scoglio delle sirene

La mitologia, invece, riporta la pastiera ai riti pagani per festeggiare il ritorno della primavera.
Queste feste erano in onore di Cerere, considerata la dea tutelare dei raccolti, ma anche la dea della fertilità e della rinascita, poiché tutti i fiori, la frutta e gli esseri viventi erano ritenuti suoi doni.
Cerere veniva omaggiata con dolci poveri a base di farro o grano e ricotta e uova, simboli di fertilità, di vita e rinascita, una sorta di pastiera, dunque.
Cerere era.
Le sue sacerdotesse portavano in processione il 12 aprile di ogni anno l'uovo, simbolo di rinascita, adottato in seguito nella simbologia cristiana durante la Pasqua.



La diffusione di pastiera, risale almeno al '600, come testimonia la seguente citazione tratta dalla favola ” La gatta Cenerentola”, scritta in lingua napoletana da Giambattista Basile tra il 1634 e il 1636, che descrive i festeggiamenti dati dal re per trovare la fanciulla che aveva perso la scarpetta e menziona la pastiera fra le delizie del banchetto finale:


« E,venuto lo juorno destenato, oh bene mio: che mazzecatorio e che bazzara che se facette! Da dove vennero tante pastiere e casatielle? Dove li sottestate e le porpette? Dove li maccarune e graviuole? Tanto che nce poteva magnare n'asserceto formato. »

Giambattista Basile
(da La gatta Cenerentola da  Lo Cunto de li Cunti, overo tratenimento de’ peccerille, una raccolta di 50 fiabe )


Risale invece all’Ottocento borbonico un aneddoto storico sulla pastiera: pare che Maria Teresa d’Asburgo-Teschen, la seconda moglie di re Ferdinando II di Borbone, sgradita ai napoletani per il carattere duro e austero, tanto da farle guadagnare l’appellativo di “regina che non sorride mai”, fu vista sorridere per la prima volta a corte quando, dietro le insistenze del golosissimo marito, assaggiò una fetta di pastiera.
Ferdinando, noto bontempone, non si lasciò sfuggire l’occasione di fare una battuta: “Per far sorridere mia moglie ci voleva la pastiera, ora dovrò aspettare la prossima Pasqua per vederla sorridere di nuovo”.

È per questo che a Napoli è diffusa l’espressione “magnate na risata”, perché la pastiera è considerato un dolce talmente buono da strappare un sorriso!
Ecco la storiella raccontata in napoletano da un autore ignoto:

  
A Napule regnava Ferdinando
Ca passava e’ jurnate zompettiando;
Mentr’ invece a’ mugliera, ‘Onna Teresa,
Steva sempe arraggiata. A’ faccia appesa
O’ musso luongo, nun redeva maje,
Comm’avess passate tanta guaje.
Nù bellu juorno Amelia, a’ cammeriera
Le dicette: “Maestà, chest’è a’ Pastiera.
Piace e’ femmene, all’uommene e e’creature:
Uova, ricotta, grano, e acqua re ciure,
‘Mpastata insieme o’ zucchero e a’ farina
A può purtà nnanz o’Rre: e pur’ a Rigina”.
Maria Teresa facett a’ faccia brutta:
Mastecanno, riceva: “E’ o’Paraviso!”
E le scappava pure o’ pizz’a riso.
Allora o’ Rre dicette: “E che marina!
Pe fa ridere a tte, ce vò a Pastiera?
Moglie mia, vien’accà, damme n’abbraccio!
Chistu dolce te piace? E mò c’o saccio
Ordino al cuoco che, a partir d’adesso,
Stà Pastiera la faccia un pò più spesso.
Nun solo a Pasca, che altrimenti è un danno;
pe te fà ridere adda passà n’at’ anno!”


Per quello che si sa oggi, la pastiera nasce da una ricetta elaborata da un’ignota suora, nella totale quiete di un monastero napoletano che volle in quel dolce, unire tutta la simbologia della Resurrezione e il profumo dei fiori dell'arancio del giardino conventuale.
Certo è che le suore dell'antichissimo convento di San Gregorio Armeno, (convento sorto nel Medio Evo, proprio sul terreno dove si ergeva un tempo il tempio in onore di Cerere), erano reputate maestre nella complessa arte della pastiera e che nel periodo pasquale ne confezionavano un gran numero per le mense delle nobili dimore patrizie e della ricca borghesia.



Secondo la tradizione, la pastiera si prepara tra il giovedì e il venerdì Santo e va consumata tre giorni dopo la preparazione, gli stessi giorni che trascorsero tra la morte di Gesù Cristo e la sua resurrezione.

Di certo c’è che la pastiera ha bisogno di alcuni giorni per permettere ai suoi ingredienti di raggiungere il grado ottimale di umidità, esprimendo così al massimo tutto il suo sapore.


POST PIU' POPOLARI

SANTA CHIARA D' ASSISI - 11 Agosto

SANTA CHIARA D' ASSISI "Per la grazia di Dio, l'anima dell'uomo fedele, che è la più degna di tutte le creature, è...