LA LEGGENDA DELLA PASTIERA NAPOLETANA
La pastiera è una delizia della pasticceria
napoletana che ha ottenuto il riconoscimento di prodotto agroalimentare
tradizionale campano e che sicuramente conclude il pranzo pasquale di ogni
italiano.
Molti
si saranno chiesti come e chi concepì una simile prelibatezza e al riguardo,
sono fiorite diverse leggende di cui la più nota (e anche la più cara al cuore
di Napoli), è quella legata alla mitica sirena Partenope, ritenuta oltretutto fondatrice
della città.
La
leggenda tramanda che la sirena Partenope, disperata per non essere riuscita a
incantare con la sua voce Ulisse, l’eroe dell’Odissea, si gettò dagli scogli e,
trascinata dalla corrente, approdò nel Golfo disteso tra Posillipo ed il
Vesuvio, dove fu trovata e curata da alcuni pescatori.
Giulio Aristide Sartorio - La Sirena
Una
volta guarita, incantata dalla bellezza dei luoghi, Partenope scelse come sua
dimora la baia del Castel dell’Ovo e per ringraziare i pescatori che le avevano
salvato la vita, si esibiva in un canto melodioso che struggeva d’amore e
rapiva l’anima di chiunque la sentisse, tenendo compagnia al popolo e ai
marinai con la sua bella voce.
Una
primavera la voce di Partenope fu particolarmente soave e
le parole d’amore che dedicò agli abitanti di quei ridenti luoghi furono
dolcissime.
Tutti
ne rimasero talmente rapiti che per ringraziarla di un così grande diletto,
decisero di offrirle i prodotti migliori della loro terra.
Furono
scelte sette fra le più belle fanciulle dei villaggi, che consegnarono all’ammaliante
sirena quelli che sarebbero diventati gli ingredienti della pastiera:
1)
la farina, che simboleggiava ricchezza in quanto averla significava non
soffrire la fame
2)
la ricotta, simbolo di abbondanza
3)
le uova, simbolo di vita e fertilità
4)
il grano cotto nel latte, simbolo della fusione del regno animale con quello
vegetale
5)
i fiori d'arancio, per ricordare il profumo della terra campana
6)
le spezie e i frutti canditi, in
rappresentanza dei lontani popoli d’oriente e d’occidente
7)
lo zucchero scelto per lodare la dolcezza del canto di Partenope.
Partenope
apprezzò molto quei doni e con le sue arti divine mescolò tutti gli ingredienti
trasformandoli nella prima pastiera che i napoletani definirono addirittura più
dolce del suo stesso canto.
Altra leggenda vuole che
questo dolce sia, in una qualche modo, "figlio del mare".
Tutto accadde quando,
un giorno particolarmente tempestoso, le mogli di alcuni pescatori lasciarono sulla
riva delle ceste con farina, ricotta, frutta candita, grano, uova e fiori
d’arancio come offerta sacrificale al mare, scongiurandolo di far tornare i loro
uomini sani e salvi a terra. Durante la notte i flutti del mare mescolarono gli
ingredienti, così le mogli dei pescatori al mattino seguente trovarono sulla spiaggia
questo delizioso dolce che chiamarono pastiera.
Edward Matthew Hale - Lo scoglio delle sirene
La mitologia, invece, riporta la pastiera ai riti pagani per festeggiare il ritorno
della primavera.
Queste
feste erano in onore di Cerere, considerata la dea tutelare dei raccolti, ma
anche la dea della fertilità e della rinascita, poiché tutti i fiori, la frutta
e gli esseri viventi erano ritenuti suoi doni.
Cerere
veniva omaggiata con dolci poveri a base di farro o grano e ricotta e uova,
simboli di fertilità, di vita e rinascita, una sorta di pastiera, dunque.
Cerere
era.
Le
sue sacerdotesse portavano in processione il 12 aprile di ogni anno l'uovo,
simbolo di rinascita, adottato in seguito nella simbologia cristiana durante la
Pasqua.
La diffusione di pastiera,
risale almeno al '600, come testimonia la seguente citazione tratta dalla favola ”
La gatta Cenerentola”, scritta in lingua napoletana da Giambattista Basile tra
il 1634 e il 1636, che descrive i festeggiamenti dati dal re per trovare la
fanciulla che aveva perso la scarpetta e menziona la pastiera fra le delizie
del banchetto finale:
«
E,venuto lo juorno destenato, oh bene mio: che mazzecatorio e che bazzara che
se facette! Da dove vennero tante pastiere e casatielle? Dove li sottestate e
le porpette? Dove li maccarune e graviuole? Tanto che nce poteva magnare
n'asserceto formato. »
Giambattista Basile
(da La gatta Cenerentola da Lo Cunto de li Cunti, overo tratenimento de’ peccerille, una raccolta di 50 fiabe )
Risale
invece all’Ottocento borbonico un aneddoto storico sulla pastiera: pare che
Maria Teresa d’Asburgo-Teschen, la seconda moglie di re Ferdinando II di
Borbone, sgradita ai napoletani per il carattere duro e austero, tanto da farle
guadagnare l’appellativo di “regina che non sorride mai”, fu vista sorridere
per la prima volta a corte quando, dietro le insistenze del golosissimo marito,
assaggiò una fetta di pastiera.
Ferdinando,
noto bontempone, non si lasciò sfuggire l’occasione di fare una battuta: “Per
far sorridere mia moglie ci voleva la pastiera, ora dovrò aspettare la prossima
Pasqua per vederla sorridere di nuovo”.
È
per questo che a Napoli è diffusa l’espressione “magnate na risata”, perché la
pastiera è considerato un dolce talmente buono da strappare un sorriso!
Ecco la storiella raccontata in napoletano da un autore
ignoto:
A Napule regnava Ferdinando
Ca passava e’ jurnate zompettiando;
Mentr’ invece a’ mugliera, ‘Onna Teresa,
Steva sempe arraggiata. A’ faccia appesa
O’ musso luongo, nun redeva maje,
Comm’avess passate tanta guaje.
Nù bellu juorno Amelia, a’ cammeriera
Le dicette: “Maestà, chest’è a’ Pastiera.
Piace e’ femmene, all’uommene e e’creature:
Uova, ricotta, grano, e acqua re ciure,
‘Mpastata insieme o’ zucchero e a’ farina
A può purtà nnanz o’Rre: e pur’ a Rigina”.
Maria Teresa facett a’ faccia brutta:
Mastecanno, riceva: “E’ o’Paraviso!”
E le scappava pure o’ pizz’a riso.
Allora o’ Rre dicette: “E che marina!
Pe fa ridere a tte, ce vò a Pastiera?
Moglie mia, vien’accà, damme n’abbraccio!
Chistu dolce te piace? E mò c’o saccio
Ordino al cuoco che, a partir d’adesso,
Stà Pastiera la faccia un pò più spesso.
Nun solo a Pasca, che altrimenti è un danno;
pe te fà ridere adda passà n’at’ anno!”
Per
quello che si sa oggi, la pastiera nasce da una ricetta elaborata da un’ignota
suora, nella totale quiete di un monastero napoletano che volle in quel dolce,
unire tutta la simbologia della Resurrezione e il profumo dei fiori
dell'arancio del giardino conventuale.
Certo
è che le suore dell'antichissimo convento di San Gregorio Armeno, (convento
sorto nel Medio Evo, proprio sul terreno dove si ergeva un tempo il tempio in
onore di Cerere), erano reputate maestre nella complessa arte della pastiera e
che nel periodo pasquale ne confezionavano un gran numero per le mense delle
nobili dimore patrizie e della ricca borghesia.
Secondo la tradizione, la pastiera si prepara tra il giovedì e il venerdì Santo e va consumata tre giorni dopo la preparazione, gli stessi giorni che trascorsero tra la morte di Gesù Cristo e la sua resurrezione.
Di certo c’è che la pastiera ha bisogno di alcuni giorni per permettere ai suoi ingredienti di raggiungere il grado ottimale di umidità, esprimendo così al massimo tutto il suo sapore.
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