In tempi lontanissimi, secoli e secoli or sono, Marte, dio della guerra, viaggiava pel mondo percorrendo tutto armato, agile e bello, le terre e i mari.
In un'aurora bionda dolcemente effusa per il cielo e sulle cose, approdò ad un lembo meraviglioso di terra: il vento parlava tenuamente coi pioppi, le nebbie si scioglievano a poco a poco e lontano sullo sfondo azzurro dei monti si vedevano fiamme: erano le fiamme dei vulcani che guizzavano vive e ricadevano come una pioggia d'oro e di sole.
Marte ne era ammirato, quando si sentì sfiorare da una mano leggera: si volse e vide che era Cerere, la dea dei grani, dei fiori e dei boschi, che gli sorrideva tutta incoronata di spighe e di papaveri e cosparsa di rugiada.
Dio Marte, - disse la Dea - tu pure, dunque, ti senti commosso alle bellezze di questa terra.
Se tu vedessi laggiù nei boschi e nelle pianure!
Vi son turbe di candidi vitelli che pascolano, saltellano, mugghiano al vento, o immergono i rosei musi nell'onda ,dei fiumi!
Questa regione magnifica, come si chiama?
Marte scosse le armi possenti, che corruscarono al primo sole e disse:
lo credo che i predoni le abbiano dato parecchi nomi: Ausònia, Espèria, Satùrnia.
Cerere sussurrò: - Vi sono tanti giovenchi che io la chiamerei terra « Vìtulus ».
Il Dio della guerra protestò: -Tu sbagli, o Dea; vedi quante fiamme si sprigionano dai suoi monti?
E quanto fuoco splende d'intorno? lo direi che è terra « Aydàlia », che nel nostro linguaggio significa « terra fiammeggiante ».
S'udì allora un gran fremere per il mare, le onde cozzarono in bianchissima spuma, si aprirono, e apparve, a fior dell'acque, dentro una perlàcea conchiglia, con il tridente in mano, Nettuno, il re dell'oceano.
Fratelli, - egli disse - questa terra meravigliosa che io bagno da tre lati con il mio azzurro elemento, io la chiamerei
« Tala », che significa nel mio linguaggio « forma di un piede ».
Infatti, io l'ho osservata a lungo ed è proprio simile ad un immenso stivale che s'adagia sul mare.
I tre iddii stettero un poco pensosi: ognuno trovava ben appropriato il nome scelto.
Infine, Marte, rizzò il capo cinto dal fèrreo elmo e disse:
Ascoltatemi, fratelli: ogni nome è giusto e significa qualcosa: uniamoli insieme, formiamone uno solo e chiamiamo questa terra « Italia ».
Cerere e Nettuno piegarono la testa assentendo, ed allora Marte si rivolse verso le Alpi e disse: « Terra di sorriso, noi ti chiamiamo Italia e questo nome significhi la tua forma strana, e ti sia divino augurio di prosperità: che le tue pianure siano sempre ricche di messi e di vitelli; e questo nome nuovo infonderà ai tuoi popoli fiamma imperitura di fortezza e di libertà, d'opera e di sapienza, e sarà anche fiamma di genio e di grandezza.»
Disse, e ancor tese la mano, e la tesero pure Cèrere e Nettuno; poi salirono tutti sulla conchiglia perlata e andarono lontano lontano sul mare;
E fu così che l'Italia ebbe in un'aurora fulgente il suo battesimo.
In un'aurora bionda dolcemente effusa per il cielo e sulle cose, approdò ad un lembo meraviglioso di terra: il vento parlava tenuamente coi pioppi, le nebbie si scioglievano a poco a poco e lontano sullo sfondo azzurro dei monti si vedevano fiamme: erano le fiamme dei vulcani che guizzavano vive e ricadevano come una pioggia d'oro e di sole.
Marte ne era ammirato, quando si sentì sfiorare da una mano leggera: si volse e vide che era Cerere, la dea dei grani, dei fiori e dei boschi, che gli sorrideva tutta incoronata di spighe e di papaveri e cosparsa di rugiada.
Dio Marte, - disse la Dea - tu pure, dunque, ti senti commosso alle bellezze di questa terra.
Se tu vedessi laggiù nei boschi e nelle pianure!
Vi son turbe di candidi vitelli che pascolano, saltellano, mugghiano al vento, o immergono i rosei musi nell'onda ,dei fiumi!
Questa regione magnifica, come si chiama?
Marte scosse le armi possenti, che corruscarono al primo sole e disse:
lo credo che i predoni le abbiano dato parecchi nomi: Ausònia, Espèria, Satùrnia.
Cerere sussurrò: - Vi sono tanti giovenchi che io la chiamerei terra « Vìtulus ».
Il Dio della guerra protestò: -Tu sbagli, o Dea; vedi quante fiamme si sprigionano dai suoi monti?
E quanto fuoco splende d'intorno? lo direi che è terra « Aydàlia », che nel nostro linguaggio significa « terra fiammeggiante ».
S'udì allora un gran fremere per il mare, le onde cozzarono in bianchissima spuma, si aprirono, e apparve, a fior dell'acque, dentro una perlàcea conchiglia, con il tridente in mano, Nettuno, il re dell'oceano.
Fratelli, - egli disse - questa terra meravigliosa che io bagno da tre lati con il mio azzurro elemento, io la chiamerei
« Tala », che significa nel mio linguaggio « forma di un piede ».
Infatti, io l'ho osservata a lungo ed è proprio simile ad un immenso stivale che s'adagia sul mare.
I tre iddii stettero un poco pensosi: ognuno trovava ben appropriato il nome scelto.
Infine, Marte, rizzò il capo cinto dal fèrreo elmo e disse:
Ascoltatemi, fratelli: ogni nome è giusto e significa qualcosa: uniamoli insieme, formiamone uno solo e chiamiamo questa terra « Italia ».
Cerere e Nettuno piegarono la testa assentendo, ed allora Marte si rivolse verso le Alpi e disse: « Terra di sorriso, noi ti chiamiamo Italia e questo nome significhi la tua forma strana, e ti sia divino augurio di prosperità: che le tue pianure siano sempre ricche di messi e di vitelli; e questo nome nuovo infonderà ai tuoi popoli fiamma imperitura di fortezza e di libertà, d'opera e di sapienza, e sarà anche fiamma di genio e di grandezza.»
Disse, e ancor tese la mano, e la tesero pure Cèrere e Nettuno; poi salirono tutti sulla conchiglia perlata e andarono lontano lontano sul mare;
E fu così che l'Italia ebbe in un'aurora fulgente il suo battesimo.
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