27 gennaio 2020

SAN MASSIMILIANO MARIA KOLBE



SAN MASSIMILIANO MARIA  KOLBE

Tra le vittime dell’olocausto tedesco, ricordiamo padre Massimiliano Kolbe, un sacerdote che con il suo martirio ha riportato “la vittoria mediante l’amore e la fede, in un luogo costruito per la negazione della fede in Dio e nell’uomo”, come sentenziò Giovanni Paolo II quando lo proclamò santo il 10 ottobre 1982.
Alla cerimonia era presente anche Franciszek Gajowniczek, l'uomo che aveva salvato dalla morte nel campo di concentramento.
La Chiesa cattolica celebra la sua memoria nel giorno della sua morte, il 14 agosto e poiché, poche settimane prima della deportazione Kolbe aveva ottenuto la patente di radioamatore, è ufficialmente il santo protettore dei radioamatori.
 Fulgida luce di fede e conforto per gli altri prigionieri, Rajmund Kolbe, nacque   l’8 gennaio 1894 a Zdunska-Wola, in Polonia, da una famiglia da una famiglia molto povera.
 Già da bambino Rajmund sente un profondo amore soprattutto per Maria Vergine e molto volentieri accoglie l’invito del Seminario dei Frati Minori Conventuali di Leopoli di accoglierlo nel loro collegio per proseguire gli studi, fino a entrare, nel 1910, nell’Ordine francescano dove prese il nome di  ’fra Massimiliano Maria.
Dopo il noviziato nel convento francescano, studiò teologia e filosofia a Roma, dove venne ordinato sacerdote il 28 aprile 1918.


Durante la permanenza in Italia, Massimiliano Kolbe sviluppò maggiormente il tratto essenziale della sua vocazione spirituale, cioè quello legato alla venerazione di Maria e, nel 1917, fonda con alcuni confratelli l’associazione “Milizia dell'Immacolata", con lo scopo di diffondere il nome di Maria in tutto il mondo, riuscendo in breve, grazie alla sua socievole e stimata personalità, a raccogliere adepti di ogni ceto sociale.
Sottolineando l'importanza della devozione a Maria, Kolbe amava ripetere: «Chi ha Maria per madre, ha Cristo per fratello.»
Tornato in Polonia, iniziò ad insegnare nel seminario di Cracovia, ma presto dovette abbandonare per curare la tubercolosi che aveva contratto a Roma.
Per una maggiore diffusione del culto di Maria Kolbe concepisce l’idea di usare il mezzo stampa e così, messa su una stamperia, nel 1922 esce il primo numero del” Cavaliere dell'Immacolata”, la rivista della Milizia dell'Immacolata che, partita da una tiratura iniziale di 5.000 copie, arriverà al milione nel 1938.
Dopo un nuovo soggiorno a Zakopane per la cura della tubercolosi, nel 1927 fondò, non lontano da Varsavia e sul terreno donatogli da un nobile conte, un convento che chiamerà” Niepokalanów”, cioè “Città di Maria”, dotato di una moderna tipografia e di un seminario missionario.
Nel convento di Niepokalanów, alla vigilia del secondo conflitto mondiale vivevano all'incirca un migliaio tra frati, novizi e seminaristi e nei primi anni della guerra offrì riparo a numerosi rifugiati polacchi, compresi molti ebrei.
Pur con un fisico indebolito dalla tubercolosi, nel 1930 Padre Kolbe si spinse fino in Giappone e in India per radicare i suoi “Cavalieri” della sua Milizia, ma la tubercolosi lo riporta in Polonia proprio quando l’esercito di Hitler sta per invaderla.


Dopo l’invasione del 1° settembre 1939 i nazisti, ovviamente, ostacolano fortemente l’operato dei frati francescani che danno accoglienza a 2.500 rifugiati, 1.500 dei quali ebrei e ordinano lo scioglimento di Niepokalanow.
Il 19 settembre 1939, i tedeschi prelevarono padre Kolbe e gli altri frati portandoli in un campo di concentramento da dove furono però inaspettatamente liberati l’8 dicembre.
 Ritornati a Niepokalanow, Massimiliano e i suoi frati ripresero l’attività di assistenza per circa 3500 rifugiati di cui 1500 ed ebrei, ma ciò durò solo qualche mese, poi i rifugiati furono dispersi o catturati e lo stesso Kolbe, dopo un rifiuto di prendere la cittadinanza tedesca per salvarsi, data l’origine del suo cognome, il 17 febbraio 1941 viene arrestato e il 28 maggio per lui si aprono i cancelli di Auschwitz.



Persa l’identità, come tutti gli altri prigionieri, diventa il numero 16670 e viene assegnato al penoso compito del trasporto dei cadaveri nel crematorio.
In quel luogo, dove l’orrore regnava sovrano, il Cavaliere di Maria vive l’ultima, breve fase della sua esistenza spiccando per rettitudine, saggezza e doti umanitarie: “Kolbe era un principe in mezzo a noi”, racconterà un superstite.
 Alla fine di luglio fu trasferito al Blocco 14, dove i prigionieri erano addetti alla mietitura nei campi.
Qui uno di loro riuscì a fuggire e, come prevedeva l’implacabile legge del campo di sterminio, per rappresaglia i nazisti selezionarono dieci prigionieri vennero destinati al bunker della morte, condannati a morire di fame.
Tra i prescelti vi è Franciszek Gajowniezek, un giovane sergente polacco, che scoppiando in lacrime supplica il lagherfurher di risparmiarlo perché ha moglie e figli.
Kolbe uscì allora dalle file dei prigionieri, offrendosi come volontario al suo posto e, in modo del tutto inaspettato, poiché i nazisti non vedevano di buon occhio i gesti di solidarietà, lo scambio venne concesso.


L’agonia per i dieci, senza acqua né cibo, fu lentissima.
   Sostenuti dall’incoraggiamento di padre Massimiliano che intona canti e preghiere, le voci dei prigionieri diventano più flebili di giorno in giorno, di ora in ora fino a spegnersi una dopo l’altra.
  Dopo due settimane, però ci sono ancora in quattro sopravvissuti, tra cui padre Kolbe, che continuano a pregare e cantare inni a Maria e le SS decidono di accelerarne la fine con una iniezione di acido fenico.
 Tendendo il braccio al medico che sta per ucciderlo padre Kolbe gli dice: “Lei non ha capito nulla della vita. L’odio non serve a niente. Solo l’amore crea”.



Fu lo stesso tenente medico nazista che raccontò dopo alcuni anni questo fatto, che fu messo agli atti del processo canonico.
Massimiliano Kolbe morì il 14 agosto 1941 e il suo corpo cremato il giorno dopo, festa dell’Assunta, insieme a quello di tanti altri condannati.
Una volta ebbe a dire: “Vorrei essere come polvere per viaggiare con il vento e raggiungere ogni parte del mondo e predicare la Buona Novella.
Possiamo tristemente dire che il suo desiderio fu esaudito… 




TESTIMONIANZE DI PRIGIONIERI

«Il 28 maggio del 1941, le SS caricarono 320 prigionieri su un treno merci per deportarli ad Auschwitz. Dopo che ci ebbero stipati nelle vetture senza finestre cadde un silenzio di morte. Ma improvvisamente, con mia grande sorpresa e gioia, qualcuno cominciò a cantare. Sotto l’incoraggiamento dei canti e dei racconti di Padre Kolbe, ci sentimmo veramente meglio e dimenticammo il nostro triste destino».
(Ladislao Swies    "Dal libro: "Massimiliano Kolbe - Il santo di Auschwitz")


«Fu lui che mi incoraggiò a parlare e finii per confessarmi. Ero così triste e disperato: volevo vivere!. Le sue parole furono semplici e profonde. Mi spronò ad avere una fede salda nella vittoria del bene. "L'odio non è forza creativa, solo l'amore crea", mi sussurrò, stringendo caldamente la mia mano con tutto l'ardore. "Queste sofferenze non ci spezzeranno, ma ci aiuteranno a diventare sempre più forti. Sono necessarie, insieme ai sacrifici degli altri, perchè chi verrà dopo di noi possa essere felice". Il modo così caloroso in cui continuava a tenere la mia mano e il modo in cui puntava tutto sulla misericordia di Dio mi rincuorarono».
(Giuseppe Stemler, direttore del dipartimento per l'educazione di Polonia - Dal libro: "Massimiliano Kolbe - Il santo di Auschwitz")


«Ci spronava a perseverare coraggiosamente. "Non vi abbattete moralmente", ci pregava, assicurandoci che la giustizia di Dio esiste e che avrebbe alla fine sconfitto i nazisti. Ascoltandolo attentamente dimenticavamo per un po' la fame e il degrado a cui eravamo sottoposti. Ci faceva vedere che le nostre anime non erano morte, che la nostra dignità di cattolici e di polacchi non era distrutta. Sollevati nello spirito, tornavamo nei nostri Blocchi ripetendo le sue parole: "Non dobbiamo abbatterci, noi sopravviveremo sicuramente, loro non uccideranno lo spirito che è in noi».
(Miecislao Koscielniak, Artista - Dal libro: "Massimiliano Kolbe - Il santo di Auschwitz")


«San Massimiliano Kolbe salvò prima di tutto in noi la nostra umanità. Fu una guida spirituale nella cella della fame, incoraggiava, guidava la preghiera, conduceva i moribondi con un segno della croce all’altra vita. In noi, salvati dalla selezione, fortificò la fede e la speranza. In questo clima di terrore e di male ci restituì la speranza».
( Michele Micherdzinski - Dal libro: "Massimiliano Kolbe - Il santo di Auschwitz")


«Potei solo cercare di ringraziarlo con gli occhi. Ero
stravolto e facevo fatica a capire cosa stesse succedendo. L’immensità del gesto:
io, il condannato, dovevo vivere e qualcun altro, volontariamente e con gioia,
aveva offerto la sua vita per me, un estraneo. Era un sogno o era realtà? ».
(Francesco Gajowniczek - Dal libro: "Massimiliano Kolbe - Il santo di Auschwitz")


«Vidi Padre Kolbe, in preghiera, porgere lui stesso il
braccio al suo assassino… Il suo corpo non era sporco come gli altri, ma pulito
e luminoso. La testa era piegata leggermente da una parte. I suoi occhi erano
aperti. Il suo volto era puro e sereno, raggiante».
(Bruno Borgowiec - Dal libro: "Massimiliano Kolbe - Il santo di Auschwitz")


"Carissimi Figli, nelle difficoltà, nelle tenebre, nelle debolezze, negli scoraggiamenti ricordiamoci che il Paradiso si sta avvicinando. Ogni giorno che passa è un intero giorno in meno di attesa.
Coraggio, dunque! Ella ci attende di là per stringerci al Cuore.
Inoltre, non date retta al diavolo, qualora volesse farvi credere che il paradiso non esiste, ma non per voi, perché, anche se aveste commesso tutti i peccati possibili, un solo atto di amore perfetto lava tutto al punto tale che non ci rimane neppure un’ombra.


Carissimi Figli, come desidererei dirvi, ripetervi quanto è buona l’Immacolata, per poter allontanare per sempre dai vostri piccoli cuori la tristezza, l’abbattimento interiore o lo scoraggiamento. La sola invocazione “Maria”, magari con l’anima immersa nelle tenebre, nelle aridità e perfino nella disgrazia del peccato, quale eco produce nel Suo Cuore che tanto ci ama! E quanto più l’anima è infelice, sprofondata nelle colpe, tanto più questo Rifugio di noi poveri peccatori la circonda di sollecita protezione.
Ma non affliggetevi mai se non sentite tale amore. Se volete amare, questo è già un segno sicuro che state amando; ma si tratta solo di un amore che procede dalla volontà.
Anche il sentimento esteriore è frutto della grazia, ma non sempre esso segue immediatamente la volontà. Vi potrà capitare, miei Cari, un pensiero, quasi una mesta nostalgia, una supplica, un lamento…: “Chissà se l’Immacolata mi ama ancora?”.
Figli amatissimi!
Lo dico a tutti insieme e a ciascuno in particolare nel Suo nome, notate bene, nel Suo nome: Ella ama ciascuno di voi, vi ama assai e in ogni momento senza alcuna eccezione.
Questo, carissimi Figli, ve lo ripeto nel Suo Nome."
(Lettera  del 13 aprile 1933 di San Massimiliano Kolbe ai confratelli in Giappone )



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