L'agave
è una pianta “succulenta”, impropriamente detta pianta grassa, cioè dotata di
particolari tessuti "succulenti", i parenchimi acquiferi, tramite i
quali possono assorbire grandi quantità di acqua che poi amministrano
sapientemente durante i periodi di siccità.
Per
la presenza di questo tessuto succulento, foglie, fusti e radici di queste
piante diventano molto carnosi.
Originaria
del centro America, con una maggiore concentrazione di varietà e diffusione
nell'attuale Messico, dove con l'estratto dell'agave blu si prepara il famosissimo distillato conosciuto come "Tequila", fu il medico naturalista Linneo a darle nel 1753 il nome
ispirandosi al greco ἀγαυός, che significa
"illustre", "nobile".
Agave blu
Per
la sua longevità questa pianta è nota anche con il nome “century plant”, in
quanto può arrivare anche a 50 anni, in base alla specie (ne esistono circa
200) e soprattutto alle condizioni vegetative.
La sua unica fioritura avviene lungo uno stelo
legnoso che si genera al centro della pianta.
Questo
stelo varia dai 2 agli 11 metri e produce anche diverse migliaia di fiori che durano
diversi mesi.
Ciò
richiede alla pianta grande dispendio di energie e dopo la fioritura, infatti,
quasi la totalità delle specie muore per poi riprodursi con i semi dispersi nelle
zone circostanti.
Possiamo
giustamente dire che l’agave chiude in bellezza il suo ciclo vitale…
AGAVE
Non
sono utile né bella,
non
ho colori lieti né profumi;
le
mie radici rodono il cemento,
e
le mie foglie, marginate di spine,
mi
fanno guardia, acute come spade.
Sono
muta. Parlo solo il mio linguaggio di pianta,
difficile
a capire per te uomo.
È
un linguaggio desueto,
esotico,
poiché vengo di lontano,
da
un paese crudele
pieno
di vento, veleni e vulcani.
Ho
aspettato molti anni prima di esprimere
questo
mio fiore altissimo e disperato,
brutto,
legnoso, rigido, ma teso al cielo.
E’
il nostro modo di gridare che
morrò
domani. Mi hai capito adesso?
Primo Levi, 10 settembre 1983
Agave in fiore
O rabido ventare di scirocco
che l'arsiccio terreno gialloverde
bruci;
e su nel cielo pieno
di smorte luci
trapassa qualche biocco
di nuvola, e si perde.
Ore perplesse, brividi
d'una vita che fugge
come acqua tra le dita;
inafferrati eventi,
luci-ombre, commovimenti
delle cose malferme della terra;
oh alide ali dell'aria
ora son io
l'agave che s'abbarbica al crepaccio
dello scoglio
e sfugge al mare da le braccia d'alghe
che spalanca ampie gole e abbranca rocce;
e nel fermento
d'ogni essenza, coi miei racchiusi bocci
che non sanno più esplodere oggi sento
la mia immobilità come un tormento.
Eugenio Montale
(da “Ossi di seppia”, 1925)
1 commento:
le conosco entrambe, mi piace molto lo stile crudo ed essenziale di primo levi, come in molte altre poesie di Ad ora incerta
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