LA DOMENICA
Chinar la testa che vale?
E che vai nova fermezza?
Io sento in me la stanchezza
del giorno domenicale;
del giorno in cui non si fa nulla
fuorché il triste cuore sperso,
e in cima alla mente un verso
troppo noto che ci culla;
del giorno in cui, spento ogni
rumore, la casa è vuota,
in cui la pupilla immota
non intravede più sogni.
Chinar la testa che vale?
Vive meglio col suo niente
il buon uomo che si sente
di non poter fare il male,
e non sente l'infinita
ampiezza dell'irreale,
e vive senza ideale
come un servo della vita!
La suora che nel convento
perdoni e salvezze implora
pensa alla vita d'allora
con improvviso sgomento;
la madre che à lungi il figlio
e che non sa dove sia,
pensa ch'ei sia su la via
del male, senza giaciglio;
l'amante, pieno di ardore,
che attese presso una chiesa
si logorò nell'attesa
tutto il suo giovane cuore,
ma il malato, a cui concesso
fu di stare nel cortile,
sente che l'autunno è aprile,
si consola da sé stesso;
il malato a cui è tanto
caro l'umile fil d'erba
ed a cui l'autunno serba
un primaverile incanto,
una dolcezza novella
fatta di gialle corolle,
una soavità molle,
un'indistinta favella!...
Chinar la testa che vale?
e che vai nova fermezza?
Io sento in me la tristezza
del giorno domenicale,
che declina in un vapore
grigio nella lontananza
senza che alcuna speranza
doni al mio povero cuore.
Marino Moretti
(da "Poesie scritte col lapis")
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