29 dicembre 2011

GARIBALDI E IL CANTO DELL'USIGNOLO - E. De Amicis



Un insospettato lato del carattere di Garibaldi,  raccontato da un grande scrittore...

GARIBALDI E IL CANTO DELL'USIGNOLO


Una notte del 1859 Garibaldi, alla testa dei suoi Cacciatori delle Alpi, marciava tra i colli Lombardi, quando, ad un tratto, si fermò in ascolto.
Gli stavano di fronte dodicimila soldati austriaci, mentre egli non aveva che un migliaio di uomini.
Eppure ciò che lo aveva fermato in ascolto non era alcuna preoccupazione, né alcun allarme di guerra, era semplicemente il canto di un usignuolo...
 Il nemico s'appressa: i soldati chiamano il generale tre volte ed egli non li ode, tutto assorto nella dolce malia di quel canto che si leva dal fogliame, svanendo nelle ombre della notte.
E solo quando i primi colpi della moschetteria nemica ebbero messo in fuga il gentile cantore notturno, egli si riscosse e tornò alla realtà.
Tale era l'anima di Garibaldi: una fierezza leonina e una sensibilità quasi femminea, un coraggio indomito e un senso di delicata pietà per i deboli.
Il
Generale che si accendeva di sdegno se vedeva un soldato maltrattare un proprio cavallo, era quello stesso che, fanciullo, versava amarissime lacrime sopra un grillo a cui aveva strappato le ali in un momento di spensieratezza e che una notte, a Caprera, si leverà, già vecchio, per riportare in stalla un agnellino che s'era sperduto lungo il pendio della montagna.
                                                     
Edmondo De Amicis



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