Un racconto per ricordare la semplicità dei Natali di una volta, scritto da Selma Lagerlof, la scrittrice svedese nota anche per essere stata la prima donna a vincere il premio Nobel...
UN LIBRO DI NATALE
La sera della Vigilia di Natale siamo seduti intorno al grande tavolo a Marbacka.
Papà a un capo della tavola, la mamma dall'altro. C'è anche zio Wachenfeldt, al posto d'onore alla destra di papà, e zia Lovisa, Daniel, Anna, Gerda e io. Come sempre, Gerda e io siamo sedute da una parte e dall'altra della mamma, perché siamo le più piccole.
Mi vedo ancora tutta la scena davanti agli occhi.
Abbiamo già mangiato lo stoccafisso, il budino di riso e le sfoglie.
Piatti, cucchiai, coltelli e forchette sono sfati sparecchiati, ma la tovaglia viene lasciata.
Le due candele a più braccia, fatte in casa, bruciano nei loro candelabri al centro della tavola: intorno vi sono la saliera, la zuccheriera, l'oliera e una grossa brocca d'argento, riempita fino all'orlo di birra di Natale. Visto che la cena è terminata, dovremmo alzarci da tavola, ma non è così.
Rimaniamo seduti ai nostri posti in attesa della distribuzione dei regali di Natale. In nessun'altra casa, dalle nostre parti, si usa distribuire i regali di Natale a tavola, dopo il tradizionale budino di riso. Niente è paragonabile a quel trascorrere in attesa, ora dopo ora, tutta la sera della Vigilia sapendo che il meglio deve ancora venire.
Il tempo passa lentamente, molto lentamente, ma noi siamo sempre convinti che gli altri bambini, che hanno ricevuto i loro regali verso le sette o le otto, non provano la gioia che proviamo noi ora che il momento tanto atteso è finalmente arrivato.
Gli occhi brillano, le guance si infiammano, le mani tremano quando la porta si spalanca e compaiono le due domestiche, travestite da caprette di Natale e trascinano due grosse gerle piene di doni fino al posto della mamma.
Poi la mamma tira fuori un pacchetto dopo l'altro, senza minimamente affrettarsi.
Legge il nome del destinatario, decifra non senza difficoltà i versi scarabocchiati che accompagnano i regali e, finalmente, li consegna a ognuno di noi.
Per un attimo, mentre rompiamo i sigilli e apriamo i pacchetti, siamo quasi ammutoliti, ma ecco che uno dopo l'altro, lanciamo un grido di gioia.
Poi parliamo, ridiamo, indoviniamo le calligrafie sul nostro pacchetto, confrontiamo i nostri regali e lasciamo che la gioia ci invada.
La sera della Vigilia alla quale sto pensando è quella dei miei dieci anni.
Sono seduta a tavola nella più spasmodica attesa.
So così bene che cosa desidererei ricevere. Non si tratta di belle stoffe per confezionare vestiti, né di pizzi o di broccati, né tanto meno di pattini per il ghiaccio o di scatole di cioccolatini.
No, si tratta di tutt'altro. Purché a qualcuno sia venuto in mente di regalarmelo!
Il primo dono che tiro fuori dal suo involucro è una scatola da lavoro e capisco immediatamente che viene dalla mamma.
La scatola è divisa all'interno in tanti piccoli scomparti dove ha messo delle bustine di aghi, della lana da rammendo una matassa di seta nera, della cera e del filo.
La mamma vuole di sicuro ricordarmi che dovrei provare a diventare un po' più brava nel cucito e non pensare solo a leggere.
Da Anna ricevo un piccolo puntaspilli meravigliosamente ricamato, che si adatta perfettamente a uno degli scomparti della scatola da lavoro.
La zia mi regala un ditale d'argento e Gerda ha ricamato un piccolo campione ,di iniziali che mi permetterà, d'ora in avanti, di ricamarmi da me le mie calze e i miei fazzoletti.
Aline e Emma Laurell sono dovute tornare a casa, a Karlstad, ma hanno pensato a me e a tutti noi. Aline mi ha preparato delle piccole forbici da ricamatrice, dentro un astuccio fatto da lei stessa con una pinza d'aragosta e un ritaglio di seta.
Emma mi omaggia di un piccolo "porcospino" di lana rossa, coperto di spilli al posto degli aculei.
Tutte cose carine quelle che ho ricevuto ma io comincio a essere un pò preoccupata.
È proprio tutto solo per cucire! Grazie tante, ma se poi non dovessi ricevere quello che spero?
Bisogna sapere che a Marbacka la Vigilia: di Natale c'è la consuetudine che, quando si va a dormire, si ha il permesso di portarsi accanto alletto un tavolino, di mettervi sopra una candela e poi di leggere quanto si vuole. E questa è la gioia di tutte le gioie di Natale.
Niente è paragonabile al piacere di starsene là, sdraiati con un bel libro avuto in regalo, un libro che non si è ancora visto e che nessun altro in casa conosce, e sapere che lo si può leggere, pagina per pagina, fino a quando non si riesce più a stare svegli.
Ma cosa fare nella notte di Natale se non si è ricevuto un libro?
È questo quello a cui penso mentre scarto, uno dopo l'altro, i miei pacchetti con tutte quelle cose per cucire. Le mie orecchie cominciano a scaldarsi, sicuramente si tratta di una congiura.
E se non dovessi ricevere nessun libro per Natale?
Daniel mi regala un delicato uncinetto d'osso, Johan un bel mulinello per svolgere le matasse e, per finire, arriva papà con il regalone: un tamburo da ricamo che ha ordinato dall'ottimo falegname d'Askerby. Perfettamente identico, mi spiega, a quello che usavano le sue sorelle da grandi. Diventerai sicuroramente un 'eccellente sarta, mi dice la mamma «con tutte queste belle cose che ti hanno regalato».
Gli altri ridono. Mi si legge in faccia che non sono così felice dei miei regali di Natale e loro sicuramente si divertono all'idea di avermi giocato un bel tiro.
La distribuzione sta avvicinandosi alla fine e con tutto quel che ho già ricevuto non posso di sicuro aspettarmi altro.
La zia Lovisa ha avuto un romanzo e due almanacchi, lo Svea e il Nornan, dei quali certo approfitterò un giorno, ma prima deve leggerli lei.
Ah, non è proprio facile far finta di essere contenti e mantenere un'aria allegra.
Quando la mamma tira fuori l'ultimo pacchetto dalla cesta dei regal capisco subito dalla forma che si tratta di un libro. Ma non può essere per me. Devono evidentemente aver deciso che questa volta dovrò farne a meno.
E invece il pacchetto è proprio destinato a me e quando lo prendo in mano, ho l'assoluta certezza che si tratta di un libro.
Divento rossa dalla gioia e lancio quasi un grido dall'impazienza di farmi passare le forbici e tagliare il nastro. Strappo la carta in tutta fretta ed eccomi davanti agli occhi il più bel libro che si possa immaginare, un libro di fiabe.
È quel che arrivo a capire dalla figura della copertina.
Sento che tutti intorno alla tavola mi stanno guardando. Sanno benissimo che questo è il mio più bel regalo, l'unico che mi rende davvero felice.
«Che libro hai ricevuto?» mi domada Daniel, sporgendosi verso di me.
Lo apro e resto lì a bocca aperta, a fissare la pagina del frontespizio.
Non capisco neanche una parola.
«Fammi vedere», dice lui e legge: «Nouveaux contes qe fées pour les pe- tits enfants par M.me la contesse de Ségur».
Chiude il libro e me lo restituisce. «È un libro di favole in francese», mi dice, «avrai di che divertirti».
Ho preso lezioni di francese da Aline Laurell per sei mesi ma, sfogliando le pagine del libro, mi rendo conto di non capire niente.
Ricevere un libro fin francese è quasi peggio che non riceverne nessuno.
Faccio fatica a trattenere le lacrime ma, per fortuna, mi cade l'occhio su una delle illustrazioni. .
Vi si vede la più affascinante delle principessine seduta in una carrozza trainata da due struzzi, e a cavallo di uno dei due struzzi c'è un piccolo paggio in alta livrea con gli stemmi e un cappello con le piume. La principessa ha grandi maniche sbuffanti e un sontuoso ampio collo.
Gli struzzi hanno in testa lunghi pennacchi e le renne sono bordate da finimenti d'oro.
Man mano che sfoglio il libro scopro un autentico tesoro di figure: altere contesse, magnifici re, nobili cavalieri, fate splendenti, orribili troll e meravigliosi castelli incantati.
No, non è proprio un libro sul quale piangere, anche se è scritto in francese.
Tutta la notte di Natale, me ne sto sdraiata a guardare le figure, soprattutto la prima, quella degli struzzi. Mi basta quella per sognare per ore.
Il giorno di Natale, dopo la messa del mattino, tiro fuori un piccolo dizionario di francese e mi lancio nella lettura.
Non è facile. Fino a quel momento ho studiato solo con il metodo Gronlungo.
Se queste favole di fate parlassero del «piccolo cappello del grande uomo», o «dell'ombrello verde del buon falegname» avrei potuto capirle, ma come cavarmela con un testo del genere in francese?
Il libro comincia così: «Il y avait un roi ». Cosa mai potrà voler dire?
Ci metto almeno un'ora per arrivare a capire che la traduzione dev'essere «C'era una volta un re».
Ma le illustrazioni mi affascinano.
Devo assolutamente capire che cosa rappresentano. Tento di indovinare, cerco nel dizionario e così pian piano vado avanti, riga per riga.
E quando arriva la fine delle vacanze di Natale, questo incantevole libro mi ha insegnato più francese di quanto non avrei mai imparato in anni studio con il metodo Aline Laurell e Gronlund.
Selma Lagerlof
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