8 febbraio 2021

GIUSEPPE UNGARETTI - IL POETA DEL DOLORE



GIUSEPPE UNGARETTI - IL POETA DEL DOLORE

L’otto febbraio 1888 nasceva ad Alessandria d'Egitto, Giuseppe Ungaretti, tra i più validi e noti poeti contemporanei e, come molti critici sostengono, si può asserire che l’ermetismo nacque nel 1916 col suo "Porto sepolto", assumendo poi proporzioni e caratteri di scuola con "Sentimento del tempo", del 1933.
Ungaretti usò un linguaggio nuovo, che mira a un’essenziale purezza d'espressione e che si avvale spesso di forme inconsuete e ignote alla tradizione letteraria.
Seppur per tutto il suo lavoro fu " poeta del dolore", perché tanto ne vide e subì, il suo stile non rimase statico, sempre inseguendo il suo spirito battagliero che lo portò a dire in tarda età: "Sono stato un uomo della speranza; anzi, il soldato della speranza".

Giuseppe Ungaretti in Egitto


Il contatto con il dolore, Ungaretti lo sperimentò già a due anni, quando venne a mancargli, a causa di un incidente sul lavoro, il padre Antonio, operaio di origini lucchesi che lavorava allo scavo del Canale di Suez con turni massacranti.
La vedova Maria Lunardini, fervente cattolica, si ritrovò sola in terra straniera con due figli, il maggiore Costantino e Giuseppe.
Proprietaria di un forno nel quartiere periferico di Moharrem Bey, praticamente ai margini del Sahara, crebbe i figli sulla base dei principi cattolici romani, mantenendoli più che dignitosamente avvalendosi dell'aiuto di una balia nubiana e un'anziana croata ottima narratrice di fantasiose storie.



Di quegli anni Giuseppe serberà sempre nel cuore il nostalgico ricordo del deserto e delle due donne, spiegando anche così il suo esotismo poetico.
Dagli otto ai sedici anni Ungaretti frequentò un collegio salesiano, soffrendo la severa disciplina; poi frequentò la scuola migliore della città, "l’Ecole Suisse Jacot", un liceo svizzero di lingua francese, dove strinse amicizia con Moammed Sceab, discendente da emiri libanesi nomadi.
Insieme aderirono al circolo culturale socialista e anarchico "Baracca rossa" fondato da Enrico Pea, conterraneo della famiglia del poeta, giunto ad Alessandria come mozzo di nave a sedici anni e poi rimasto a commerciare in marmi.


L'amicizia con Enrico Pea, che si avvicinò alla letteratura per merito di Ungaretti, sarà duratura e insieme collaboreranno a molte riviste e giornali anarchici, scrivendo prose d’ispirazione sociale, novelle, poesie e anche traduzioni.
Fu in questo periodo che Ungaretti abbandonò il cristianesimo e divenne ateo.
L’amore per la poesia, in Ungaretti era nato presto, stimolato anche dalla cosmopolita città egiziana, ricca di antiche tradizioni e nuove mode.
Ungaretti s’interessò in particolare alla letteratura francese e a quella italiana, preferendo le opere di Baudelaire, Rimbaud, Mallarmé e Leopardi.
In Egitto resterà fino al 1912, poi si trasferì a Parigi, per proseguire gli studi alla Sorbona, iscrivendosi alla Facoltà di lettere.



Il mondo della capitale francese, centro di vita culturale e artistica del Novecento, gli aprì conoscenze e orizzonti culturali nuovi, riuscendo a inserirsi tra i movimenti d'avanguardia che facevano capo al poeta Guillaume Apollinaire, di cui divenne grande amico.
A Parigi entrò in contatto anche con molti espatriati italiani destinati a diventare importanti rappresentanti del futurismo come: Carlo Carrà, Aldo Palazzeschi, Giovanni Papini, giusto per citarne alcuni, ma anche di Amedeo Modigliani e Pablo Picasso, uno dei fondatori del cubismo.



A Parigi Ungaretti ritrovò l'amico Moammed Sceab, anche lui nella capitale francese per amore della letteratura.
Moammed, però, non riusciva a inserirsi nell’ambiente parigino, si sentiva rifiutato ed entrò in forte crisi d’identità, aggravata da uno smodato consumo di assenzio che lo aveva reso assolutamente dipendente.
L'assenzio, un distillato all’aroma di anice a forte gradazione alcolica, detto anche "fata verde" per il suo colore, era popolarissimo tra gli scrittori e gli artisti dell’epoca bohémien e decadentista.
Rimbaud, Verlaine, Wilde e Van Gogh, per esempio, erano abituali consumatori di assenzio e lo bevevano per sperimentare i suoi spiccati effetti psicoattivi: lo stesso Picasso lo definì uno "stimolante della creatività".
Oltre a "stimolare la creatività", l'uso prolungato dell’assenzio aveva pesanti effetti collaterali, causati anche dal calamo che spesso veniva aggiunto come allucinogeno e dopo alcuni studi scientifici, si arrivò a vietarne il consumo prima in America e poi in Europa.

L'assenzio - dipinto di Pablo Picasso 

Il bevitore di assenzio - dipinto di Viktor Oliva


Non possiamo dunque  escludere che Moammed fosse  sotto l'effetto dell'assenzio quando il 9 settembre 1913 , dopo avere distrutto tutta la sua opera letteraria, si tolse la vita  nella camera d'albergo che divideva con il poeta in  rue des Carmes.
Ungaretti si trovò nuovamente a fare i conti con il dolore, ben definito nella poesia che gli dedicò...


IN MEMORIA

Si chiamava
Moammed Sceab

Discendente
di emiri di nomadi
suicida
perché non aveva più
Patria

Amò la Francia
e mutò nome

Fu Marcel
ma non era Francese
e non sapeva più
vivere
nella tenda dei suoi
dove si ascolta la cantilena
del Corano
gustando un caffè

E non sapeva
sciogliere il canto
del suo abbandono

L’ho accompagnato
insieme alla padrona dell’albergo
dove abitavamo
a Parigi
dal numero 5 della rue des Carmes
appassito vicolo in discesa.

Riposa
nel camposanto d’Ivry
sobborgo che pare
sempre
in una giornata
di una
decomposta fiera

E forse io solo
so ancora
che visse

(da  "Il porto sepolto")
Giuseppe Ungaretti

Parigi, Rue des Carmes - foto d'epoca


Quando l'Italia entrò in guerra, il 24 maggio 1915, Ungaretti, contrario alla guerra ma ritenendola necessaria per difendersi dall'espansionismo tedesco, si arruolò volontario come soldato semplice, combattendo dapprima sul Carso e poi, nella primavera del 1918, con le truppe del corpo d'armata italiano,  viene mandato a combattere in Francia, nella regione della Champagne.


Giuseppe Ungaretti al fronte


Sul fronte il contatto con la morte, la sofferenza e le mutilazioni era quotidiano e la vita in trincea disumana e sempre in bilico.
La devastante esperienza, inevitabilmente, incise profondamente sulla sua formazione sia interiore sia poetica.
 Solo lo stretto e solidale rapporto che si creava tra soldati era di minimo conforto, ma allo stesso tempo di preoccupazione perché oltre a temere per la tua sorte, rischiavi  da un momento all'altro di vedere  il tuo amico  ferito o addirittura ucciso, spesso davanti ai tuoi occhi.




 La devastante esperienza, inevitabilmente, incise profondamente sulla sua formazione sia interiore sia poetica e proprio sul fronte, nei momenti di tregua, annotò su foglietti sparsi, tenuti alla rinfusa nel tascapane e "destinati a nessun pubblico", le poesie poi pubblicate nella raccolta "Il porto sepolto".


Fu il giovane ufficiale Ettore Serra, suo estimatore e proprietario a Udine di uno stabilimento tipografico, che dal fronte  "portò con sé il tascapane, ordinò i rimasugli di carta" e nel 1916  stampò  la prima  raccolta di "Porto sepolto", in un'edizione di ottanta copie, che aveva come poesia conclusiva una  lirica  a lui dedicata da Ungaretti. 

COMMIATO 

Gentile
Ettore Serra
poesia
è il mondo l’umanità
la propria vita
fioriti dalla parola
la limpida meraviglia
di un delirante fermento

Quando trovo
in questo mio silenzio
una parola
scavata è nella mia vita
come un abisso
(da  "Il porto sepolto")
Giuseppe Ungaretti



Terminata la guerra ritornò a Parigi, giusto in tempo per assistere alla morte di Apollinaire causata dall' l'influenza spagnola, la terribile pandemia che all'epoca causò la morte di circa un terzo della popolazione mondiale.
A Parigi Ungaretti lavorò presso l’ufficio stampa dell’ambasciata italiana e come corrispondente de "Il Popolo d’Italia", un importante quotidiano politico fondato da Benito Mussolini nel 1914.
Nel frattempo proseguì il suo lavoro di poeta e  nel 1919 pubblicò la prima edizione di "Allegria di Naufragi", raccolta dove espone la gioia e il sollievo del sopravvissuto alla tempesta, di chi, avendo visto la morte da vicino, sa apprezzare la vita.

 

La raccolta, che nel 1931 assumerà il titolo definitivo " L'allegria", si divide in cinque sezioni, dedicate a periodi differenti  (prima, durante e dopo la guerra) e comprende sia poesie già comparse in precedenti pubblicazioni, sia poesie inedite come  la celebre  "Mattina" (M'illumino d'immenso), e "Soldati", il testo che più esprime la precarietà della vita, paragonando la vita dei soldati alle caduche foglie d’autunno.
L'edizione definitiva della raccolta, dopo successivi rimaneggiamenti, è del 1942.


Nel 1920 Ungaretti sposò a Parigi  Jeanne Dupoix, compagna dolce e solidale che gli darà 3 figli:  il primo purtroppo morto soffocato dal cordone ombelicale, poi nel 1925 nacque  Anna Maria (detta Ninon),  seguita da Antonio nel 1930.
La coppia nel 1921 si trasferì a Roma, dove Ungaretti lavorò presso l’ufficio stampa del ministero degli Esteri e nel 1925 aderì al fascismo, firmando il Manifesto degli intellettuali fascisti
Lavorando parallelamente come inviato del quotidiano "La Gazzetta del Popolo" e continuando la sua produzione poetica e le sue traduzioni, negli anni ’30 Ungaretti raggiunse il massimo della fama, viaggiando molto per tenere conferenze e ottenendo  vari riconoscimenti e prestigiosi premi. 

Giuseppe Ungaretti e la figlia Anna Maria

Intanto inizia il suo lento riavvicinamento alla fede cattolica, innescato da una visita al monastero di Subiaco, nella settimana santa del 1928, ospite dell’amico Francesco Vignanelli, un ex anarchico poi divenuto frate benedettino, che rimise in discussione le sue idee religiose.
La ricerca esistenziale del poeta, alla fine, trovò conforto nel credo e la fede ritrovata è evidente nella raccolta poetica "Sentimento del tempo", pubblicata nel 1933 e contenente anche la poesia che Ungaretti aveva scritto per l'amata madre, morta a dicembre del 1930 ad Alessandria d'Egitto. 


LA MADRE

E il cuore quando d'un ultimo battito

avrà fatto cadere il muro d'ombra

per condurmi, Madre, sino al Signore,

come una volta mi darai la mano.


In ginocchio, decisa,

Sarai una statua davanti all'eterno,

come già ti vedeva

quando eri ancora in vita.


Alzerai tremante le vecchie braccia,

come quando spirasti

dicendo: Mio Dio, eccomi.


E solo quando m'avrà perdonato,

ti verrà desiderio di guardarmi.


Ricorderai d'avermi atteso tanto,

e avrai negli occhi un rapido sospiro.


(da "Sentimento del tempo")

Giuseppe Ungaretti


"Ritratto di Giuseppe Ungaretti", Gino Bonichi 1930 circa
Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna


Nel 1936 gli fu offerta la cattedra di letteratura italiana presso l’Università di San Paolo del Brasile, con ottime condizioni economiche.
  Ungaretti, da sempre in precarie condizioni economiche, allettato dalla prospettiva di offrire finalmente un buon tenore di vita alla famiglia accettò, in accordo con la moglie, come sempre solidale.
Durante il periodo trascorso in Brasile, il poeta fu duramente colpito da due lutti famigliari: nel 1937 morì il fratello Costantino ultimo testimone dell'infanzia del poeta e poi, nel 1939, per un’appendicite mal curata, perse anche il figlio di nove anni,  lasciando il poeta straziato e demotivato e con "un pianto dentro" che mai più lo abbandonerà.
 Rifugiandosi nella fede, Ungaretti comunque trova la forza di  arginare il dolore e andare avanti, aiutato anche moglie che, pur condividendo il medesimo dolore, riuscì a essere un saldo punto d'appoggio, anche questa volta .
Sul piano poetico gli anni brasiliani furono sterili e scrisse solo la lirica dedicata al fratello "Tutto ho perduto"  e "Gridasti soffoco", dedicata figlioletto, ma ritenendo quest'ultima poesia troppo intima,  la renderà  pubblica solo del '52, quando verrà inclusa in "Un grido e paesaggi."

TUTTO HO PERDUTO

 
  Tutto ho perduto dell'infanzia
E non potrò mai più
Smemorarmi in un grido.

 
 L'infanzia ho sotterrato
Nel fondo delle notti
E ora, spada invisibile,
Mi separa da tutto.

 
 Di me rammento che esultavo amandoti,
Ed eccomi perduto
In infinito delle notti.

    Disperazione che incessante aumenta
La vita non mi è più,
Arrestata in fondo alla gola,
Che una roccia di gridi.

(da  "Il dolore")
Giuseppe Ungaretti


Giuseppe Ungaretti - dipinto di William Rambaldi


Nel 1942, quando il Brasile si schierò contro l'Asse Roma-Berlino, Ungaretti fu costretto a rientrare in patria dove viene nominato Accademico d'Italia  e ,"per chiara fama",  ottiene la cattedra  di letteratura moderna e contemporanea presso l’Università la Sapienza di Roma.
Dopo la caduta del fascismo, la commissione di epurazione istituita per rimuovere dai loro incarichi le persone coinvolte con il passato regime, sospende Ungaretti dall’insegnamento.
Battendosi per la sua causa elencando i suoi numerosi meriti conseguiti anche all'estero, il poeta riottenne il  ruolo di docente universitario insegnando fino alla pensione nel 1958 , anno in cui  un altro grande dolore colpì  il poeta che perse anche la moglie Jeanne, fedele compagna di vita,  dopo una lunga malattia.
 Dopo la pensione, Ungaretti continuò comunque  a insegnare all'università, "fuori ruolo", fino al 1965.


Nel secondo dopoguerra Ungaretti pubblicò nuove raccolte poetiche come "Il dolore”, la raccolta la più amata dal poeta,  pubblicata nel 1947 e divisa in sei sezioni.
 Incentrata sulla morte, sia dei propri cari che dei caduti in guerra , Ungaretti vi riversò  il dolore, i silenzi e le meditazioni di  degli anni più dolorosi della sua vita : versi che  cantano la morte, ma nel contempo  celebrano la vita.
Usciranno poi: "La terra promessa" nel 1950, "Un Grido e Paesaggi" nel 1952", "Il taccuino del vecchio nel 1960 e nel 1969 fu stampata l’edizione definitiva di Vita di un uomo, che raccoglieva tutta la sua produzione poetica.
Non mancarono neanche altre traduzioni, tra cui i sonetti di Shakespeare e  poesie di autori brasiliani.

NON GRIDATE PIU'


Cessate d'uccidere i morti,

non gridate più, non gridate

se li volete ancora udire,

se sperate di non perire.


Hanno l'impercettibile sussurro,

non fanno più rumore

del crescere dell'erba,

lieta dove non passa l'uomo.

(da  "Il dolore")
Giuseppe Ungaretti

Giuseppe Ungaretti - dipinto di Achille Chiarello

Intanto continuavano i suoi viaggi per il mondo, nelle università più prestigiose e un paio di volte si fecero addirittura concrete le possibilità di una candidatura al premio Nobel.
In realtà ci sperava nel Nobel, Ungaretti, che nonostante la fama non era ricco e non possedeva neanche una casa di proprietà.
 Sperava nel Nobel non solo perché riteneva di meritarlo, ma anche perché con una parte del premio sognava di comprare una casetta a Capri dove trasferirsi a tradurre i grandi classici.
A rivelarlo fu Bruna Bianco, una giovane poetessa e giurista di ventisei anni, che Ungaretti conobbe in Brasile nel '66 durante un ciclo di conferenze. 
La Bianco avvicinò il poeta per avere un'opinione sulle poesie da lei scritte e, nonostante la grande differenza di età, tra i due scoccò la scintilla.
Il loro amore durò tre anni e finì più che altro a causa dell'enorme distanza che li separava: in tutto quel tempo riuscirono a incontrarsi non più di sei volte, tre in Sud America e tre in Italia.
Lo scambio epistolare fu invece intensissimo e Ungà, come spesso firmava, le scrisse circa 400 appassionate lettere.


Giuseppe Ungaretti e Bruna Bianco

Nel 1968 Ungaretti ottenne particolare successo anche in televisione, quando precedeva la messa in onda dello sceneggiato televisivo l'Odissea, leggendo con grande espressività alcuni brani da lui stesso tradotti del poema omerico.
Lo stesso anno, per i suoi ottant'anni, Ungaretti venne festeggiato con solenni onoranze in Campidoglio, in presenza del Presidente del Consiglio Aldo Moro e dei suoi amici poeti Eugenio MontaleSalvatore Quasimodo.
Ringraziando, commosso, Ungaretti affermò: "Non so se sono stato un vero poeta, ma so di essere stato un uomo, perché ho molto amato e molto sofferto, ho molto errato e ho saputo, quando potevo, riconoscere il mio errore, ma non ho odiato mai".

Francobollo dedicato a Giuseppe Ungaretti, nel 50° anniversario della scomparsa


Ungaretti scrisse la sua ultima poesia "L’impietrito e il velluto" a Capodanno del 1970, dedicandola a Dunja Glamuzina Belli, una giovane croata di cui si era invaghito, conosciuta da qualche mese.


L’IMPIETRITO E IL VELLUTO 

Ho scoperto le barche che molleggiano

Sole, e le osservo non so dove, solo.


Non accadrà le accosti anima viva.


Impalpabile dito di macigno

Ne mostra di nascosto al sorteggiato

Gli scabri messi emersi dall’abisso

Che recano, dondolo nel vuoto,


Verso l’alambiccare

Del vecchissimo ossesso

La eco di strazio dello spento flutto

Durato appena un attimo

Sparito con le sue sinistre barche.


Mentre si avvicendavano

L’uno sull’altro addosso

I branchi annichiliti

Dei cavalloni del nitrire ignari,


Il velluto croato

Dello sguardo di Dunja, 

Che sa come arretrarla di millenni,

Come assentarla, pietra

Dopo l’aggirarsi solito

Da uno smarrirsi all’altro,

Zingara in tenda di Asie,


Il velluto dello sguardo di Dunja

Fulmineo torna presente pietà.

Giuseppe Ungaretti


Poco dopo tornò negli Stati Uniti, per ricevere un premio dall’Università dell’Oklahoma, ma una broncopolmonite lo costrinse a un ricovero a New York.
Riuscì a tornare in Italia e  dopo una convalescenza a Salsomaggiore, si trasferì a Milano, ma la sua salute era ormai indebolita e morì improvvisamente nella notte tra il 1° e il 2 giugno 1970.
Il suo funerale fu celebrato a Roma il 4 giugno nella Basilica di San Lorenzo fuori le mura, ma non partecipò nessun rappresentante ufficiale del Governo italiano.
 Sepolto nel Cimitero monumentale del Verano, giace accanto alla moglie Jeanne.


Nessun commento:

POST PIU' POPOLARI

SANTA CHIARA D' ASSISI - 11 Agosto

SANTA CHIARA D' ASSISI "Per la grazia di Dio, l'anima dell'uomo fedele, che è la più degna di tutte le creature, è...