SANT' ANTONIO ABATE
Il 17 Gennaio è il giorno in cui la Chiesa
ricorda Sant’Antonio Abate, considerato il fondatore del monachesimo cristiano
e il primo degli abati.
Nei secoli
Sant’Antonio è diventato protettore degli eremiti, monaci, canestrai, dei
lavoratori della terra, dei seppellitori, dei vigili del fuoco, degli animali domestici e degli strumenti del lavoro nei campi.
Patrono di
tutti gli addetti alla lavorazione del maiale, vivo o macellato,quindi inclusi macellai e salumai, è anche il
patrono di quanti lavorano con il fuoco, come i pompieri, perché guariva dal
fuoco metaforico che era l’herpes zoster, ma anche in base alla leggenda
popolare che narra che S. Antonio si recò all’inferno, per contendere l’anima
di alcuni morti al diavolo e, con l'aiuto dello scompiglio provocato dal suo
maialino che si era intrufolato, riesce ad appiccare il fuoco infernale alla
punta del suo bastone, riuscendo così a portando fuori per farne dono all’umanità.
È invocato contro tutte le malattie della
pelle e contro gli incendi.
Nel giorno
della sua festa liturgica, è tradizione benedire le stalle e il bestiame
domestico, una volta unica risorsa del mondo contadino e ancora oggi, in alcuni
paesi, si usa accendere i cosiddetti “falò di s. Antonio”, in ricordo e come rito
di purificazione e fecondazione della Natura.
David Teniers il Giovane - Tentazioni di sant'Antonio
Museo del Prado, Madrid
Di questo santo
eremita morto ultra centenario, ci è pervenuta una soddisfacente agiografia
per merito di Sant' Atanasio, suo zelante discepolo e amico che, ben conoscendolo, riuscì a illustrarne la
personalità, le abitudini, le opere e il pensiero.
Antonio
nacque nel 250 in Egitto eprecisamente a Coma (odierna Qumans), da una
famiglia di benestanti agricoltori cristiani .
Rimasto
orfano intorno ai 20 anni ereditando un
consistente patrimonio da amministrare e
una sorella minore da educare, preferì tuttavia assecondare la sua esigenza religiosa
e seguire l’esortazione evangelica
" Se vuoi essere perfetto, va’, vendi ciò che hai, dallo ai poveri e avrai
un tesoro nel cielo, poi vieni e seguimi”(Mt 19,21) .
Giovanni Girolamo Savoldo - SS. Antonio abate e Paolo eremita
1510 circa, Gallerie dell'Accademia Venezia
Così,
distribuì i beni ai poveri e dopo aver affidato la sorella a una comunità di
vergini, seguì l'esempio di altri anacoreti che vivevano nei deserti attorno, intraprendendo
la vita solitaria e vivendo in preghiera, povertà e castità.
Atanasio scrive che il santo pregava
continuamente ed era così attento alla lettura delle Scritture, da ricordare
tutto senza ormai più dover leggere.
Alla ricerca
di un perfetto stile di vita esemplare, chiese illuminazione a Dio e come
risposta gli apparve un angelo che seduto lavorava intrecciando una corda, poi
si alzava e pregava, continuando alternativamente. Antonio intuì che Dio gli stava indicando la via
del lavoro e della preghiera, la stessa che, due secoli dopo, sarà alla base
della regola dei monaci benedettini “Ora et labora”.
Bernardo Parentino - La tentazione di S.Antonio Abate
Palazzo Doria Pamphilj - Roma
Dopo qualche
anno di questa vita iniziarono però prove durissime e tentazioni: i dubbi sulla
sua vita solitaria, l'istinto della carne e il desiderio per i beni materiali
sopiti in quei primi anni di vita eremitica, ritornarono prepotentemente nella
sua mente, assillandolo.
Su consiglio
degli altri asceti, decise di sbarazzarsi ulteriormente di ogni legame o cosa e
di ritirarsi in un luogo ancora più solitario. Così, vestito solamente di un rude
cencio, si stabilì in un’antica tomba scavata nella roccia nei pressi di Coma.
In questo luogo, oltre alle tentazioni
subentrarono terrificanti visioni e frastuoni; addirittura sarebbe stato
selvaggiamente percosso dal demonio e, privo di sensi, soccorso dalle persone
che si recavano periodicamente a portargli del cibo e trasportato nella chiesa
del villaggio, dove si rimise.
Giuseppe Bernardino Bison, La tentazione di Sant'Antonio abate
XVIII-XIX sec.
Ancora in vita accorrevano da lui pellegrini
e bisognosi da tutto l'Oriente, perfino l'imperatore romano Costantino e i suoi
figli ne cercarono il consiglio, ma ciò disturbava il suo raccoglimento, allora
l’eremita spostò la sua dimora verso il Mar Rosso, sul monte Pispir, in una
fortezza romana abbandonata e infestata dai serpenti, ma con una fonte sorgiva.
Rimase in
questo luogo per 20 anni, nutrendosi solo con il pane che gli veniva portato
due volte all'anno, proseguendo la sua ricerca di totale purificazione, pur
essendo aspramente tormentato dal demonio.
Camillo Procaccini-Le tentazioni di sant'Antonio Abate, 1590-95
-Galleria Nobili, Milano-
Antonio uscì
fortificato da queste prove ispirato dal soffio divino, cominciò a consolare
gli afflitti, ottenendo dal Signore guarigioni, liberando gli ossessi e
istruendo nuovi discepoli che avevano assediato il suo eremo.
I seguaci di
Antonio si scissero in due gruppi che diedero origine a due comunità, una a
oriente e l'altra a occidente del fiume Nilo.
Questi
monaci del deserto vivevano in solitudine in grotte e anfratti, sotto la guida
di un eremita più anziano e con Antonio come guida spirituale.
Diego Velázquez- S. Antonio abate e S. Paolo eremita,
1635-38, Museo del Prado, Madrid
Antonio si
adoperò molto per fortificare la Chiesa e allo scopo, nel 311, non esitò a
lasciare il suo romitaggio per recarsi ad Alessandria, dove imperversava la persecuzione
contro i cristiani ordinata dall’imperatore romano Massimino Daia, per
sostenere e confortare i fratelli nella fede e desideroso lui stesso del
martirio, ma forse perché incuteva rispetto e timore reverenziale anche ai
Romani, fu risparmiato.
Le sue uscite dall’eremo si moltiplicarono per
servire la comunità cristiana e sostenere con la sua influente presenza l’amico
e vescovo di Alessandria, S. Atanasio che combatteva con gran fede l’eresia
ariana.
Scuola fiamminga,XVII sec.
SS. Antonio abate e Paolo eremita si dividono un pezzo di pane,
musée du Louvre,Parigi
Tornata la
pace nell’impero, per sfuggire ai troppi curiosi che si recavano nella fortezza
del Mar Rosso, decise di ritirarsi in un luogo più isolato e andò nel deserto
della Tebaide, sul monte Kolzim, dove prese a coltivare un piccolo orto per il
suo sostentamento e di quanti si recavano da lui per aiuto e ricerca di
perfezione.
Visse in
questo luogo fino alla fine dei suoi giorni assistito da due monaci nell'estrema
vecchiaia. Morì probabilmente il 17 gennaio 356 e fu seppellito in un luogo segreto , si narra
da S. Paolo di Tebe con l’aiuto di un leone.
I suoi
discepoli tramandarono alla Chiesa la sua sapienza, raccolta in 120 detti e in
20 lettere, in una delle quali scrisse ai suoi: “Chiedete con cuore
sincero quel grande Spirito di fuoco che io stesso ho ricevuto, ed esso vi sarà
dato”.
Pisanello - Vergine con Bambino con i Santi Giorgio ed Antonio abate
metà 1440-45 circa, National Gallery, Londra
Solo nel
561, cioè molti anni dopo la sua morte, fu scoperto il luogo della sua
sepoltura e le sue reliquie, dopo un lungo peregrinare da Alessandria d'Egitto
a Costantinopoli, giunsero definitivamente nell'XI secolo, a Motte-Saint-Didier, in Francia , dove fu
costruita una chiesa per ospitarle con tutti gli onori.
Qui ben
presto iniziarono ad affluire frotte di pellegrini per venerare le spoglie del
santo, nonché folle d'infermi di ogni tipo, ma in particolare di ammalati di
“ergotismo canceroso”, un morbo
conosciuto fin dall'antichità col nome di “ignis sacer”, per il forte
bruciore che dava e ch'era causato da un fungo
presente nella segale, usata per fare il pane.
Il Sassetta - Sant'Antonio abate e san Paolo Eremita, 1440 circa,
National Gallery of Art, Washington
Per ospitare tutti gli ammalati che giungevano
sul luogo, furono costruiti un ospedale e un villaggio che prese il nome di
Saint-Antoine de Viennois e inoltre vi si costituì l'Ordine ospedaliero degli
“Antoniani”, una confraternita di religiosi.
Per consentire il sostentamento dell'ordine,
il papa accordò a questi frati il privilegio di allevare maiali che venivano
mantenuti a spese della comunità e che giravano liberi per cortili e strade con
il riconoscimento di una campanella legata al collo, senza che nessuno osasse
toccarli.
Hieronymus Bosch - Tentazioni di sant'Antonio, 1505 circa
Museu Nacional de Arte Antiga, Lisbona
Il grasso di
questi maiali veniva usato per medicare le piaghe dell'ergotismo, volgarmente detto “fuoco di Sant'
Antonio”, nome scientifico: “herpes zoster”.
Ecco il motivo per cui il maiale cominciò a
essere associato al santo egiziano.
Nell'iconografia
è spesso raffigurato circondato da donne procaci (a simboleggiare le tentazioni), da
animali domestici come il maialino con la campanella e anche con il bastone
degli eremiti a forma di T, cioè la ‘tau’, ultima lettera dell’alfabeto ebraico
e quindi allusione alle cose ultime e al destino.
Francisco de Zurbarán - S. Antonio Abate
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